CONTROMATTINALE 266/18

Oggi, dunque, è l’ultimo pezzo dell’anno in corso. Fra poche ore stureremo la bottiglia che è già in freddo, sul davanzale di cucina e inaugureremo il nuovo anno. Al di la delle speranze di maniera, da troppo tempo, ormai, ho smesso di sperare in qualcosa di meglio e di positivo da aspettarci a breve, anche se poi gli auspici, formali più che sostanziali, sono in quella direzione.
Distratto come sono, altri dicono svanito e non so se sia indulgenza affettuosa o palese malignità, non posso ignorare un dato personale. Se sottraggo duecentosessantasei, i miei pezzi dell’anno, a trecentosessantacinque, ne devo desumere che circa un terzo del mio tempo l’ho trascorso altrove, non a Venezia dove scrivo i miei pensieri oziosi. Un dato interessante per me che, invece, mi sento alquanto stanziale.

L’anno che si apre ci porta, da subito, alcune novità e non penso tanto o soltanto alla Legge Finanziaria appena passata, grazie al ricorso alla Fiducia, quanto alla fattura elettronica, a Matera e al suo anno magico come anche a Venezia, la “mia” Venezia. Pochi minuti fa, a Prima Pagina, una giovane materana che si diceva parte della macchina organizzativa di accoglienza, manifestava preoccupazione per le prime battute di cui è testimone. Le feste in corso hanno riversato sulla città le prime folle di visitatori che vorrebbero evitarsi le punte eccessive, in corso di stagione, ed è già il caos.

Le nostre città d’arte (e cultura), come Roma, Firenze, Napoli e Venezia, per citarne solo le più note, da un lato godono del boom turistico mentre poi rischiano il collasso, la morte per asfissia. Conosco abbastanza bene Roma e Venezia, meno Firenze che si pone, per popolazione, fra le due altre. Queste due città che pure sono molto diverse fra loro, per morfologia, ampiezza e composizione dei visitatori, hanno in comune l’assalto dei turisti, emblematicamente rappresentati dai troppi pullman che sostano, in giro per la città. L’ultima volta, recente, che ero nell’Urbe e sono passato in zona Vaticano, sono rimasto quasi traumatizzato dal numero di bus turistici fermi, in attesa di recuperare i probabili pellegrini, e non si era di domenica.

Se Roma deve coesistere con i problemi di una capitale che è anche città d’arte ma anche, e soprattutto, contenitore del Vaticano, Venezia che è piccola deve gestire l’assalto quotidiano, almeno per due terzi dell’anno, di turisti di varie tipologie, come anche i pendolari che vengono qui per lavoro, per soddisfare le richieste e i bisogni dei visitatori e, in subordine, dei residenti. Rifornire una città unica come la nostra non è facile, dovendo usare solo vie d’acqua, coi barconi da carico e poi i carrelli a mano per raggiungere i negozi e gli esercizi pubblici che non sono posti direttamente sull’acqua ma, magari, in una calle stretta e invasa da turisti, distratti e trasognati per la bellezza e l’unicità del sito.

Dopo un tentativo di mettere degli accessi diversificati, fra residenti e turisti, il cui esito mi è ignoto ma credo fallimentare, l’ultima trovata per il prossimo anno è un pedaggio, una tassa per il turista di passo. Sono molto curioso di apprendere le modalità di riscossione della nuova tassa e se dovrò andare in giro con un certificato di residenza, per passeggiare liberamente e per tornare a pranzo a casa. La mia unica certezza è che lo strumento, ammesso funzioni, servirà a fare cassa e non limiterà, in alcun modo, il turismo mordi e fuggi.

CONTROMATTINALE 265/18

L’anno in corso sta vedendo le sue ultime battute e, fra l’altro, molti media anticipano i temi che, verosimilmente, il Presidente Mattarella affronterà nel suo discorso rituale di fine anno. Fra gli altri, è previsto un monito verso i nostri attuali rappresentanti dell’Esecutivo. Non so infatti quanto gli piacerà firmare una legge che contiene almeno una norma discussa e, secondo alcuni, da cancellare. Ci ricordano però che se i grillini si sono accorti di aver toppato, forse i camerati di Salvini non avevano affatto sbagliato nel raddoppiare le tasse a danno del Terzo settore.

Vedremo gli sviluppi a breve e se vogliamo trovare una notizia positiva, possiamo attingere dal premio che il Presidente ha istituito da poco e che, entro pochi giorni, vedrà premiate trentatre persone che si sono distinte per senso civico. Dico persone e non cittadini, perché credo ci siano anche alcuni stranieri, come quello che ha difeso una donna aggredita in strada, a serio rischio della sua vita. Specularmente, si premierà un’italiana che ha fatto lo stesso in soccorso di uno straniero e poi c’è quella straniera che ha avuto il coraggio di denunciare uno del clan dei Casamonica, a Ostia. Sarà una che crede ancora nella giustizia e nella legalità e speriamo che, premio a parte, non debba ricredersi come molti, troppi cittadini italiani. Trentatre è un bel numero ma non vorrei che fosse come quel dieci che appare in un titolo di Agata Christie, Dieci piccoli indiani che nel plot giallo, scompaiono tutti, proprio tutti.

Tempo di consuntivi e poi di auspici per il futuro, come ogni anno. A me sembra ieri che si passò di secolo e millennio ma sono già trascorsi quasi due decenni. Un periodo lungo o breve, secondo valutazioni soggettive ma l’Euro che più o meno coincide con quei tempi è ormai maggiorenne e forse, proprio per questo, c’è chi vorrebbe accopparlo. In effetti, l’onda populista che ha invaso e inquinato il nostro mondo non fa ben sperare per il futuro, quello prossimo come remoto. La mia generazione è cresciuta con la speranza, che era quasi certezza, di un progresso economico costante che, se non individuale, avrebbe coinvolto la nostra collettività, nel suo insieme. Mezzo secolo dopo, non solo le aspettative individuali sono mortificate ma anche di più quelle collettive.

Se oggi i nostri giovani più brillanti e intraprendenti trovano spazio fuori dai confini geografici dei loro Paesi, i nostri Paesi sono, più o meno, tutti in crisi. Non penso tanto allo sviluppo economico quanto al montare di un populismo
becero che si riverbera in scelte populiste davvero inquietanti. Ad esempio, senza scomodare esempi clamorosi di scontri, non fisici ma ideologici, fra Stati sovrani ma restando solo in casa nostra, la scelta di tre Regioni del Nord, Lombardia, Veneto ed Emilia, di chiedere più autonomia, si tradurrà in minore solidarietà nazionale. Posso capire che il contribuente di Modena sia stufo di pagare le inefficienze di Gela o le ruberie di Napoli, si fa per dire, ma siamo proprio sicuri che questo non creerà disgregazione sociale?

Vorrei, per una volta, essere ottimista ma non mi riesce.

CONTROMATTINALE 264/18

Trovo davvero imbarazzante dover seguire la Politica, specie in questi ultimi giorni dell’anno. Gli stessi che appena un anno prima tuonavano per un eccesso di provvedimenti legislativi, passati a suon di voti di fiducia, adesso a quell’artificio tecnico attingono per far passare la Legge finanziaria, quella che determina la nostra economia, dell’anno prossimo ma non soltanto. Dopo settimane in cui filtravano indiscrezioni sui contenuti della così detta Manovra, finalmente e in zona d’affanno, questa viene presentata alle Camere che dovranno votarla in tempi ultraveloci, per evitare, per scongiurare l’esercizio provvisorio.
Anche se le opposizioni gridano allo scandalo per i tempi ridicoli lasciati alla discussione e sopratutto, per alcune norme che già prima di essere attuate risultano errate o troppo inique perfino per il governo in carica, bisogna correre per evitare brutte figure internazionali. Poche ore per le dichiarazioni di voto e subito si voti

Chissà che bella figura, invece, stiamo facendo nel momento in cui il Parlamento della nostra Repubblica viene invitato a votare la legge di cui si sa che ha norme da modificare, perché errate o perché non condivise all’interno della stessa compagine di governo. Non mi piacciono le piazzate in Parlamento. Mi disturbavano quando erano gestite da un’opposizione che oggi è al Governo e mi infastidiscono anche adesso, se vedo Lele Fiano, il mio rappresentante, che fa bagarre in aula. La sensazione, sgradevole, di un teatrino parlamentare costante mi fa venire in mente la vecchia frase di Churchill sulla democrazia che sono stufo di citare. Sta di fatto che i nostri teatrini non sono poi tanto dissimili da quelli che vediamo in atto, in altri parlamenti europei.

Qualcuno citava oggi Macron europeista, contrapposto a Salvini euroscettico. Ecco, se penso agli scontri fra titani della politica degli anni d’oro della costruzione europea e li metto a confronto con questi di oggi, mi sento male. Non bastano le nostre miserie locali, a queste si affiancano quelle di altri Paesi, più o meno sviluppati. Avete presente Trump? Ecco, appunto. Adesso si ritira dalla Siria lasciando gli alleati curdi alla possibile vendetta turca e quelli, poveretti, pensa tu, sperano di essere protetti dal sultano Erdogan, a cura dalle stesse truppe regolari locali che poi, tanto regolari non sembrano proprio esserlo. Poi, per tenere fede al suo programma elettorale, dopo aver tentato di far pagare al Messico le spese per il muro, adesso si aspetta che il nuovo Congresso, a maggioranza democratica, gli dia i fondi per il suo faraonico progetto.

Nel frattempo le statistiche sulla nostra immigrazione smentiscono gli allarmismi leghisti. Non è vero che siamo invasi dall’uomo nero. Mi piacerebbe, davvero, molto poter aderire a quanto le fredde statistiche ci indicano ma sono, per professione, uomo di numeri e, appunto per questo, sono scettico. Dovete sapere che ogni volta che mi è capitato di dover maneggiare dati pubblici ho dovuto constatarne la palese inattendibilità, già a monte, per ragioni di natura metodologica. Se negli anni del secondo dopo guerra ci misero quattro anni a censire le conseguenze belliche sul reddito nazionale, come si conteggiano, oggi, gli immigrati? Quelli citati nelle statistiche sono i regolari, gli aventi diritto in attesa di regolarizzazione, quelli in transito, i clandestini, o chi, cosa e come? In assenza di chiarimenti, per quanto mi riguarda, la prognosi resta riservata.

CONTROMATTINALE 263/18

C’è, da sempre, una locuzione che è un luogo comune e che mi spinge alle mosse più bieche e apotropaiche. Quando sento “mai più” mi dico che ci risiamo e dato che non sono più un ragazzino, penso ai vari casi ed ambiti di “mai più” abusati e riproposti, ogni volta.
Mai più stragi annunciate, mai più costruzioni abusive, mai più evasione fiscale di massa, mai più leggi ad personam, mai più voto di scambio, mai più connivenze con le criminalità organizzate e dunque mai più Camorra, Mafia, Ndrangheta e Sacra corona unita. Mai più sussidi, ai non aventi diritto e mai più evasori fiscali. Mai più tifo violento e morti agli stadi calcistici.

Spesso i cronisti più giovani pensano di avere scoperto fenomeni nuovi come,appunto, il teppismo più becero e violento allo stadio.Senza scomodare la storia romana, quella antica del Colosseo e del Foro, posso personalmente ricordare la scena raccontatami dal mio amico Renato, con lui quattordicenne che viene fatto scudo dal corpo atletico del padre, un ufficiale di cavalleria, solo venti anni in più del figlio, che lo protegge dalla violenza teppistica allo stadio Vomero a Napoli. Una scena di almeno sessanta anni fa e infatti il San Paolo non c’era ancora.

Poi, negli anni settanta, ancora giovane dirigente d’azienda, ho assistito con sgomento alla preparazione di alcuni incontri della squadra del Torino, col mio capo che era il padrone dell’azienda in cui lavoravo, uno tutto fabbrica, chiesa e casa ma che per il fine settimana si trasformava. Non è necessario essere come Gassman nel film di Risi, sottoproletario affamato e tifoso da paura. Anche seri industriali, come il mio capo e come, immagino, gli Agnelli, attivano e usano i facinorosi in un accordo, nemmeno troppo tacito, in cui non si capisce più chi usa chi. Spesso, infatti, sono le tifoserie organizzate a mo’ di squadrismo fascista, a prendere il sopravvento rispetto al club che le finanzia. Quando poi ci scappa il morto, le lacrime di coccodrillo e i “mai più” si sprecano, assieme a provvedimenti solo di facciata.

Leggevo ieri sera alcuni commenti sull’ultimo episodio che ha coinvolto la partita dell’Inter contro il Napoli, dai soliti cori razzisti al morto investito fuori dallo stadio S.Siro. Un amico,giornalista e direttore di testata in pensione, manifestava la propria tiepida commozione verso la morte di un facinoroso noto nella tifoseria ultra e neo fascista, subito corretto dal solito buonista per cui ogni vita umana sarebbe preziosa. Certo, ma chi “se la va a cercare”, chi ha la recidiva, può anche mettere in conto la fine drammatica della propria inutile, se non dannosa, vita.

Dopo un così grave episodio, non nuovo peraltro, si ferma il Campionato? Si squalifica la squadra? La si fa giocare per tutto l’anno, senza pubblico? Nossignore, un paio di giornate senza tifo e tutto prosegue come sempre. Con oggetti impropri che entrano nello stadio, con le tifoserie delle curve che espongono maxi striscioni antisemiti, definiti goliardici dagli stessi club che ignorano il Codice Penale e con i calciatori di colore insultati a sangue.
Fingere che non ci sia una regia dietro tutto questo è ridicolo e lo sa bene lo stesso questore di Milano, già arbitro di serie A e B.

Fermare il Campionato per un anno può sembrare una misura eccessiva che non sarebbe solo un danno economico rilevante per tutti ma potrebbe anche far fallire società già in crisi economica endemica. Senza misure drastiche però, il “mai più” diventa “alla prossima volta” che si proporrà al più presto, fino al prossimo mai più.

CONTROMATTINALE 262/18

Ricordo ancora, grazie alla mia età ed esperienze, testate come Life e Time, poi unificate, in cui ampi servizi fotografici ci mostravano il Presidente americano così come star hollywoodiane, da Marlene Dietrich a Bob Hope, da Marilyn Monroe a Bing Crosby, in visita natalizia alle truppe USA di stanza all’estero, spesso in scenari di guerra. Memorabile Marilyn, con la camicia militare, fotografata sulla torretta di un carro armato. Una consuetudine questa che si è ripetuta per anni e generazioni e infatti, anche Obama lo ricordiamo col berretto militare in testa, in visita alle “sue” truppe.
Un pelo in ritardo sui suoi predecessori ma in concomitanza con annunci che non piacciono ai vertici militari, il Presidente vola oltre oceano per fare un paio di tappe a sorpresa, in visita alle sue truppe.Il ritiro annunciato da Siria e Afghanistan potrà forse piacere a coloro che vi erano stati mandati ma pare non sia considerata una mossa corretta, sia dai vertici militari USA che, ovviamente, dai direttamente interessati.

Uno che vorrebbe, forse, scimmiottare gli americani è il nostro ministro Salvini che va in giro, da giorni, con la casacca della Polizia di Stato che, è vero, dipende proprio dal suo Ministero. Il guaio è che di quel Ministero degli Interni Salvini deve avere un’idea assai riduttiva. Non è più, da un pezzo il Ministro di Polizia ma ha mille altri compiti, appunto interni. Se un collaboratore di giustizia viene abbandonato al suo destino e fatto fuori con dieci colpi di armi da fuoco, a Pesaro, non a Cefalù, è una sconfitta anche del Ministero di Giustizia ma, soprattutto, di quello che avrebbe dovuto garantirne incolumità.

Salvini, invece, troppo occupato a fare la campagna pubblicitaria alla Nutella sembra non accorgersi nemmeno dell’ennesima emergenza siciliana, questa volta di matrice naturale. Chissà se lui e i suoi elettori, quelli del Sud perché gli altri, invece, hanno ottima memoria, ricordano ancora certe sue invettive anti meridionali, quando agiva ancora da Radio Padania. Pare che allora incitasse, in serena goliardia, il vulcano siciliano a fare la sua parte. Dico pare perché, relata refero, non ho mai avuto occasione di ascoltare, per mia scelta, quella emittente e non vorrei fosse solo una diceria ingiuriosa. Ci dicono, proprio in queste ore, che la radio di famiglia fosse una specie di Bancomat per il Partito e vedremo di capire meglio cosa intendano i giornalisti che ce la dicono così.

Credo di ricordare che sia la testata cartacea che quella via etere siano chiuse da tempo, per mancanza di fondi. Se fosse vero che la gestione di quelle due realtà era più che allegra, se ne può comprendere la fine ingloriosa. Troppo facile sarebbe dire che è difficile aspettarsi che il nostro Paese possa prosperare, se gestito da un tandem fatto da un ex steward dello stadio S.Paolo e da un Dee Jay che faceva il tifo per l’Etna e che non è nemmeno in grado di gestire le cose di casa sua, come i due Media principali della sua stessa propaganda. Da gente così, grazie alla miopia elettorale più recente, cosa possiamo aspettarci se non un tirare a campare speranzoso? Nel frattempo i sondaggi sulle intenzioni di voto cominciano a registrare le prime flessioni verso i due compari. Non esulto affatto, perché i gilet gialli già me li aspetto sotto casa, ovvero sotto palazzo Chigi o sotto il Quirinale.

CONTROMATTINALE 261/18

Ci dicono che la chiusura di Wall Street di questi giorni segna un calo storico, paragonabile in entità e tempistica solo al precedente degli anni trenta del secolo scorso. Gli esperti indicano in Trump e nelle sue cocciute scelte, il fattore destabilizzante che ha portato al risultato di cui sopra. Scommetto che in molti, fra Wall Street e altri mercati finanziari internazionali stiano passando pessime feste, in attesa di vedere come andranno le cose, all’ apertura dei mercati.
Se da un lato gli umori della gente di finanza potrebbero lasciarci del tutto indifferenti, c’è però poi da considerare che quei signori sono solo operatori che interagiscono con fenomeni che spesso subiscono, altro che gnomi di Zurigo! Infatti basta che un populista arrivi alla Casa Bianca e può succedere, e accade proprio di tutto.

Accade anzitutto che quel signore si circondi di donne e uomini di sua fiducia che poi si perde per strada, sia perché loro gli levano la fiducia e se ne vanno sbattendo la porta, sia anche per il contrario. Accade poi che la maggioranza al Congresso gli venga meno, rendendolo proverbialmente anatra zoppa, come dicono dalle sue parti, ma che lui vada avanti per la sua strada, insistendo per avere il famigerato muro divisorio col confine messicano.Pensiero semplice di una mente semplice:se blindo il confine non passeranno sia i singoli che le marce di gruppo. Semplicista più che semplice perché se hai una falla a bordo non la risolvi svuotando man mano l’acqua ma intervenendo direttamente su quella.

Il presidente Trump vuole governare non in armonia ma in conflitto e il suo approccio duro alla politica non è diverso,anzi ispira e conforta quelli di altri Paesi, anche europei. Il populismo, di cui l’anatra zoppa è emblema massimo, è sviluppato sempre più e in maniera diffusa, almeno nel nostro mondo occidentale capitalista. Può accadere così che anche i nostri ragazzotti, fiutato l’andazzo generale, si montino la testa e credano di essere coloro che faranno il futuro, in Europa assieme all’Italia. Mentre trovi subito il genio dell’Economia che teorizza come uscire dall’area Euro non sarebbe una catastrofe ma, anzi, fonte d’impulso economico, trovi quell’altro che suggerisce studi di fattibilità, in quel senso. Verrebbe da dire “o bischeri, ma non vi basta il test market britannico?” Un’economia, quella oltre Manica, ben più solida di quella italiana, una moneta forte come la sterlina, eppure adesso stanno piangendo tutti, anche coloro che votarono a favore della Brexit, ignari allora delle conseguenze pratiche che la scelta avrebbe poi comportato.

Il ministro Salvini, adottando come spesso fa, toni e mimica da buon senso, da padre di famiglia, ci dice che il reddito di cittadinanza non sarà erogato ai soliti furbetti e che ci sono anche modi sicuri per evitarlo. Incroci fra dati di reddito e patrimoniali, più quelli di consumo, possesso di beni reali, automobili eccetera, consentiranno di evitare abusi. Se, davvero, la cosa fosse così semplice e perfino veloce, come mai fin da tempi biblici lamentiamo un’evasione fiscale diffusa ed endemica, senza mai riuscire a stanarla, concretamente? Salvini, dimmi che lo puoi fare davvero, perché se fosse così facile basterebbe già dimezzarla e avremmo risolto un mucchio di problemi. Sarem(m)o tutti un bel po’ più ricchi. Facile, no?

CONTROMATTINALE 260/18

Dopo la mia invettiva di ieri contro il Natale, permettetemi di riscattarmi augurando a chi ci crede una buona festa. Vanto, fra i miei amici, parecchie persone per bene che sono credenti e per le quali la festa di oggi è importante e, dunque, auguri a tutti i mie amici cristiani e credenti.

Qualcuno ha voluto prendere spunto dalla cronaca,da quella madre africana col bimbo appena nato, per fare un parallelismo con la nascita di più di duemila anni fa. Retorica a parte ci sono, immagino, interessanti analogie. La madre africana, spostata in elicottero col neonato, è giovanissima, come Miriam e ne ho colto lo sguardo smarrito. Se consideriamo i lunghi tempi di questi spostamenti in Africa, i nove mesi di gestazione farebbero pensare ad un concepimento da stupro, mentre la nascita miracolosa di Betlehem potrebbe essere attribuita, secondo alcuni, ad una relazione adulterina con un legionario romano, secondo altri ancora una volta ad uno stupro, magari da parte dello stesso milite occupante ed è una trama di costante attualità.

Il Natale spinge un po’ tutti a dirsi e sentirsi più buoni. Mi domando come si sentano allora Salvini e Di Maio che, come dei Robin Hood al contrario, depredano i poveracci. L’ultima trovata del loro governo, per fare cassa a favore della Legge finanziaria, tassa le rimesse degli immigrati ma soprattutto, raddoppia l’aliquota IRPEF per le Associazioni di volontariato, trattandole come se fossero produttori di gioielli o di altri beni di lusso.
Se da un lato mi fa sorridere Carlin Pedrini che sostiene come le rimesse degli immigrati siano tutte fatte da regolari che già pagano le tasse qui da noi, dall’altro tartassare il terzo settore è appunto concretizzare l’abusata immagine del bandito che depreda i poveri a favore dei ricchi.
Difficile immaginare, caro Pedrini, tu che da ex proletario fai affari con il lusso dello slow food, che chi lavora in nero non abbia comunque l’esigenza di inviare rimesse alle famiglie rimaste in Africa.
Altra faccenda, invece, è quella della tassa raddoppiata a danno di Associazioni di volontariato, non tutte adamantine ma quasi tutte fiore all’occhiello del nostro Paese.

Negli anni ottanta avevo ben due dipendenti nella mia agenzia di pubblicità, e si era una ventina di persone in tutto, che erano impegnati nel volontariato come infermieri di pronto soccorso a bordo di ambulanze per i turni di notte. Mettevano gratuitamente a disposizione della Croce di appartenenza, una notte al mese turnandosi con altri colleghi. Una persona a me molto vicina, appunto oggi che è Natale, ha organizzato un pranzo per alcuni suoi assistiti che, altrimenti, sarebbero stati da soli. Ha passato ore a cucinare per loro del cibo che aveva precedentemente acquistato, ovviamente a proprie spese. E’ questo che volete tassare “onorevoli” Salvini e Di Maio? Certo, quasi tutti i commensali di oggi saranno italiani ma ci sarà anche un giovane cossovaro, minorenne e sotto tutela. Volete rimandarlo indietro o tassare la mia figlioccia che se ne prende cura, non solo formale giuridica ma anche protettiva e perfino affettiva?

Qualcuno che di statistica ne capisce si è tolto la sfizio di spulciare dati numerici obbiettivi. Pare che i flussi migratori, qui da noi siano in calo, anno su anno, già da prima che Salvini facesse la voce grossa, fin dalle gestioni di centro sinistra. Non basta, perché parallelamente la Spagna e perfino la Grecia, in rapporto con la sua popolazione, accolgono e assorbono più immigrati di noi. Il fatto è che agire sugli spauracchi ha sempre pagato. E infatti Salvini, molto più di Di Maio è al vertice della popolarità.

CONTROMATTINALE 259/18

Ci siamo. Come tutti gli anni, Natale mi coglie del tutto impreparato, ammesso che io debba fare qualcosa per questa circostanza. Certo, ci sono le mance ai portieri e le scadenze di fine anno ma, per fortuna, i rituali classici non mi coinvolgono più, non mi toccano. Non ho bisogno di fare acquisti specifici mentre mi disturba l’accesso eccessivo nei supermercati dove mi tocca fare la spesa, con code e disagi aggiuntivi.
Non basta. La melassa di auguri lanciati ad ogni passo, la festosità forzata mi riportano indietro negli anni, a quando avevo mio figlio, piccolo e come tutti i bimbi figli del boom economico, aspirava a questo o quel giocattolo in regalo, pur chiamandosi Gabriele Levi, un nome che è un programma, se non addirittura, un trade mark.

Se poi di passi indietro ne faccio due, posso ricordare i miei Natale da bambino, quando il mio amichetto Mario, figlio unico, sentiva l’esigenza espressa dai genitori anziani di festeggiare con coetanei e allora, anche io ebreo ma anche conformista come lui e come tutti i bambini,me ne stavo sotto l’albero a casa sua, a scartare pacchetti, pochi e sobri data l’epoca ma comunque regali inequivocabilmente natalizi. Si era a cavallo fra gli anni quaranta e cinquanta e non starò a ricordarvi come d’allora si siano evoluti i nostri costumi e l’economia, in genere.

Ogni anno, da settantasei anni per me, da molti di più per la cristianità, si celebra la nascita di Jeoshua, a Betlehem, che poi fu circonciso e da adulto come già da neonato passò i guai suoi in quanto ebreo. Nulla di originale, non fosse che poi lo si strumentalizzò per definirlo Messiah e questo comportò persecuzioni e guerre. Non vorrei essere troppo antipatico ma posso ricordare come l’arrivo presunto del Messiah che avrebbe dovuto portare amore e fratellanza, portò guerre di religione e non solo? Al di la di quella bazzecola che risponde al nome di Crociate, al di la di vere e proprie guerre di religione fra cristiani, vogliamo ricordare quella sciocchezzuola che risponde al nome di Santa Inquisizione? Santa, appunto, e al punto di consentire a qualcuno, coperto dalla religione di Stato, grazie al Concordato, di definire santo, perfino il manganello delle camice nere. E ancora oggi, a Predappio, trovi un qualche sacerdote cattolico disponibile a celebrare messe in suffragio.

Secoli dopo la nascita famigerata, ecco una nuova religione monoteista che avrebbe voluto, e in parte ci riuscì, azzerare il passato del mondo ebraico cristiano. Proprio qui da noi e specie in Meridione d’Italia, il fenomeno affiora dagli studi che vedono importanti chiese cattoliche essere state a volte delle sinagoghe ma spesso anche moschee tutte poi riconvertite e riconsacrate, ovviamente.

Non ho molta voglia di censire tutte le brutture che si sono perpetrate, in nome di alti valori religiosi. Posso solo ricordare con grande sofferenza la copertura generosamente offerta ai criminali di guerra nazisti, fuggiti in Sud America grazie alla protezione vaticana. Protezione che fu invece negata alle vittime della Shoà, in nome di prudenza e real politik, indegne di una istituzione etica, prima che confessionale.
Lo so, sono un guastafeste, letteralmente e i miei amici cattolici credenti mi biasimeranno ma come posso farvi sentire quanto fastidio mi dia la zona compresa fra il ventiquattro dicembre e il sette gennaio? Come sarebbe stata la nostra storia, quella moderna e contemporanea se Erode avesse fatto meglio il suo mestiere?

CONTROMATTINALE 258/18

Mia madre, Marina Foà, era nata nel millenovecento, all’alba del secolo breve e, per la sua generazione, aveva viaggiato più della media delle sue coetanee. Fra Vienna e Berlino, Parigi e credo Londra, aveva scorazzato assieme al fratello ma anche in Italia, fra Roma e Firenze, peraltro dove aveva riseduto a lungo per il perfezionamento presso una gloriosa istituzione musicale toscana. Più tardi, ormai in età avanzata, aveva più volte represso i timori del volo,solcando l’oceano per poter vedere da vicino realizzazioni e successi di quel fratello minore, di grande successo professionale. Sia nel corso di una colazione al Waldorf Astoria sia, più banalmente, in stazione Termini lei incontrava parenti,amici o conoscenti che le facevano dire, ogni volta, “Com’è piccolo il mondo”. Una frase che mi ritorna in mente ogni volta che mi accade di constatarne l’attualità.

Nel corso del mio recente breve viaggio in Israele sono stato da solo poco più di quattro giorni. Gli altri li avevo trascorsi in famiglia. Eppure,in appena quattro giorni,mi sono capitati tre incontri significativi di cui vi dirò.
Ero appena approdato a Tel Aviv da Gerusalemme e mi era capitato un intoppo con la camera assegnatami in albergo dal portiere. Sceso e caricato di giusto sdegno, come mi era stato suggerito da amici che dicono come si debba essere molto fermi,se si vuole avere qualcosa in quel Paese,ho trovato il portiere occupatissimo a discutere con un signore, alto e dal capello bianco, che ci faceva sapere, in un inglese perfetto, come il suo rabbino gli avesse suggerito di cercarsi in zona una nuova moglie. Chiedeva, addirittura, suggerimenti in tal senso, anche se non era un turista ma viaggiava per lavoro. Colto dall’approccio simpaticamente aperto del personaggio, mi sono trovato anche io invischiato nei suoi discorsi ed ho appreso così come il suo rebbe fosse un omonimo di rav Bahbout, romano, già rabbino a Napoli e poi a Venezia. Omonimia poi superata dalla scoperta che entrambi siamo italiani e che lui, proprio di Mino Bahbout stava parlando.
Da cosa nasce cosa, ho scoperto poi un sacco di particolari interessanti e di altre confluenze che non citerò, per ovvie ragioni di riserbo e per non far individuare chi sia il misterioso personaggio, molto noto anche nel mondo del cinema, fra Roma e Venezia.

Nella stessa hall, breve incontro poi con una giovane signora, attorniata da una piccola folla di parenti che mentre addentava un panino mi ha parlato in italiano. Gaffeur come sempre, al mio “che ottimo italiano parli” mi sono sentito dire, con un marcato accento askenazita, che italiana era ed è!

Poi a Giaffa, accaldato mi fermo a prendere da un frigo una bottiglietta d’acqua e a cazzeggiare col giovane, dall’aria indolente, alla cassa. Mentre fra una battuta e l’altra scelgo una spiritosa tshirt da regalare ad una spiritosa parente, il giovanotto scopre che sono un Levi, per la prima volta in Israele e mentre mi accorgo che ancorché sbarbato, indossa kippà e tefillin, molto garbatamente mi indottrina sulle responsabilità che un Levi ha verso il passato, il presente e il futuro. Mi godo questa sua ingenua conferenza mentre mi dico che sarà un sabre e forse figlio di sabre. Chissà cosa sa, davvero, degli ebrei della diaspora e cosa può capire davvero delle nostre vite tormentate, figli della Shoà, come fummo e come siamo. Poi penso al suo prolungato recente servizio militare e ai contemporanei attentati in quel piccolo Paese e lo comprendo,lo giustifico. Anche lui è mio figlio, anzi nipote se considero le rispettive età.

CONTROMATTINALE 256/18

Le lacrime, in politica, possono essere dei boomerang. Sarà forse per questo che l’onorevole Emma Bonino ha smentito di aver pianto, di fronte all’attuale panorama politico. Un precedente, di qualche anno fa, coinvolse la professoressa Fornero, genuinamente sconvolta per le decisioni impopolari e drastiche che doveva intraprendere, stando al fianco di Mario Monti. Uno che aveva ereditato le miserie politiche di Berlusconi e che cercava di rimettere insieme i cocci. In parte gli riuscì e poi passò il testimone al sindaco di Firenze che ce la mise tutta per farci uscire dal guado, tentando riforme coraggiose che poi furono bocciate, anche grazie al fuoco amico di D’Alema, Civati e compagni. Adesso la sinistra, grazie ai summenzionati e ad altri non solo comprimari , come il pezzo da novanta, l’immaginifico Bersani, è in pieno stallo e c’è  perfino chi rimpiange di non aver fatto accordi con i Cinque stelle. Chissà se al prossimo possibile Congresso nazionale voleranno finalmente gli stracci, o se si continuerà a dire che tutto va ben, madama la marchesa, fra una scissione e tante defezioni individuali,

Nel frattempo, ad indicare la miopia del nostro elettorato attivo, se giustamente la popolarità dei Cinque stelle sembra opacizzarsi, quella dei salviniani è in netta compensazione, per cui pare che più della metà degli elettori sia tuttora a favore del governo in carica. Agli elettori piace ma vedremo per quanto tempo ancora i conflitti fra i due partiti potranno essere sopiti e consentire loro di andare avanti.

Il pianto, presunto o reale, della Emma  come la chiamano affettuosamente i suoi compagni, sta ad indicare la caduta verticale di democrazia che è in atto, qui da noi, non dissimile da quanto sta accadendo non lontano dai nostri confini. Se a qualcuno viene in mente di far lavorare oggi ma poi pagare di la a tre anni, è perché con questi trucchi si agisce sui parametri economici ma non si risolvono, comunque, i problemi che stanno a  monte e che restano, per quanto solo rimandati nel tempo. Anche noi, fra clausole di salvaguardia e aliquote IVA ballerine per il futuro, ci stiamo giocando appunto il futuro prossimo.

Vedrete che prima o poi ci sarà un governo, tecnico o politico ma diverso dall’attuale e ci toccherà pagare le cambiali a vuoto emesse da questi nostri funamboli dell’economia. Come se già questo non fosse molto grave c’è di peggio ed è in atto da tempo. Lo vediamo platealmente in queste ore, col Parlamento costretto a votare la fiducia su un provvedimento di cui si sa poco e, soprattutto, se ne hanno notizie contraddittorie. Che pianga o meno la Emma, di fatto il sistema parlamentare viene messo in non cale, coerentemente con i piani di Grillo & Casaleggio.

Chi mi segue già da anni mi darà atto che le mie critiche di fondo verso Berlusconi erano nella direzione, da me paventata, di una sua dittatura democratica morbida, propedeutica ad una peggiore che è ormai in atto. Il Parlamento diventa inutile ingombro nei confronti di politiche populiste e distruttive. Gli stessi che vociavano, poco prima, verso un eccesso di ricorso alla Fiducia, adesso lasciano solo poche ore per un dibattito inutile per poi votare, a scatola chiusa, appunto con la Fiducia, una legge fondamentale dello Stato. La chiamano democrazia dal basso e ci ricorda i manipoli di Mussolini che voleva usare Montecitorio per farli bivaccare. Adesso sono gli stessi parlamentari che bivaccano, incerti e smarriti, ma sono ed è un inedito, proprio quelli della maggioranza.