Ieri sera ho deciso di ignorare alcuni titoli di film, programmati in televisione, a favore di un programma di Rai Storia che credo suonasse, nel titolo, “L’uomo che volle farsi Cesare” e che ci ha proposto Mussolini, dai suoi primi passi fino a piazzale Loreto. Già molti anni fa, addirittura dai tempi dei cine giornali e dai primi passi della televisione, avevo visto le immagini sgranate delle parate fasciste, dei comizi in cui la mimica del dittatore mi appariva ridicola ed incomprensibile. Oggi, rivedendo le immagini di una piazza Venezia gremita, posso perfino immaginare che quelle facce grottesche servissero per quelle folle che erano comunque distanti dall’oratore. Le immagini che definivo sgranate, grazie ai miracoli tecnologici attuali, ieri mi si sono proposte nitide e perfette e, salvo il brutto vezzo di colorarne alcune, me le sono godute, ovvero sofferte tutte e comunque.
Poter seguire in spazi temporali ridotti, quelli della trasmissione, le modifiche somatiche di Mussolini mi è apparso prezioso e infatti, vederlo sia pure stempiato ma ancora capelluto e poi del tutto calvo, mi ha aiutato a soppesare quei due decenni in cui sedusse milioni di italiani di ogni estrazione sociale e livello culturale. Troppo facile per me che conosco, come tutti voi, come sia andata tragicamente a finire, criticare ma quell’Italia un po’ tanto stracciona e molto rurale vedeva nell’uomo forte, quello che si faceva fotografare in canotta mentre fingeva di lavorare i campi, colui che poteva traghettarli verso benessere e nuova dignità.
Per fortuna quel seduttore di masse non riuscì a sedurre nessuno della mia famiglia, sia i Levi che i Foà, mentre pare che alcune importanti famiglie ebraiche italiane furono a lungo seguaci, salvo la doccia gelata del trentotto, quelle leggi razziste che una vulgata nostalgica cerca di considerare gestite “all’acqua di rose” come, profumato, dichiarò l’ultimo Savoia maschio, fra una esibizione danzante in tv e una insensata intervista mediatica. Fra i miti che per molti anni circolavano sul tema, grazie anche alla storia sentimentale fra Mussolini e la Sarfatti, c’era un dittatore riluttante nel seguire Hitler sul fronte antisemita e conseguenti leggi razziste. Pare che non fosse affatto così e che, al contrario, al di la della Sarfatti e di quel legame, Mussolini nutrisse da sempre tutti i peggiori pregiudizi antisemiti di probabile matrice cattolica. Diviso, infatti, fra romanità classica ed impero futuro, difficile per me valutare quanto visceralmente antisemita fosse lui per primo, indipendentemente dall’amicone Hitler, in arte Fuhrer e suo seguace, salvo poi invertire i rapporti di forza negli anni di Salò.
E la Petacci Claretta? Per molto tempo ce la raccontavano come una ingenua ed innamorata, forse manovrata da un padre maneggione ed arrivista e con una sorella che si era inventata un nome romantico per esibirsi in improbabili pellicole di Cinecittà allora emergente. Invece la Petacci Claretta, la cui tragica fine fu a lungo compianta, pare non si limitasse a scrivere intense lettere d’amore a Mussolini mentre quello consumava quotidiani rapidissimi amplessi con fasciste lusingate e disponibili ad attese di ore per minuti di eiaculazione frettolosa, come un caffè a prima mattina. Pare che la candida, innamorata, fedele amante del dittatore, fosse stata, nel suo piccolo, fomentatrice di odio antisemita. E allora come non considerare “la tragica fine della Petacci” come una giusta fine di una parabola, tragica e scellerata? Perfino quell’esposizione in piazzale Loreto, con la gonna capovolta che non copriva più le pudenda dell’amante del dittatore, serviva a segnare una chiusura definitiva con un passato nero. Nero per le camicie, nero per i labari, nero per le anime dei protagonisti come anche dei loro comprimari e complici.
E oggi? Oggi abbiamo un prevalere della destra, con un PD ai suoi minimi storici e con una coalizione di governo che è attorno al quaranta per cento ma che può governare, indisturbata a lungo. Eppure c’è chi può farlo, disturbare la manovratrice e potrebbe essere Salvini mentre Berlusconi può masticare amaro ma conta perfino meno del suo rappresentante al Governo, quel ministro Tajani che temo spaesato, anche se più serio ed attendibile del Caimano.