CONTROMATTINALE 71/21

Chi mi conosce sa bene come io tenda ad essere indulgente verso alcuni aspetti controversi della cultura meridionale. Mi sono formato a Napoli e, come non pochi napoletani, non solo ero insofferenze verso i tanti vizi specifici di quella città ma anche di tutta la penisola a sud di Roma. Eppure, a distanza di più di mezzo secolo da quando me ne sono allontanato con sollievo per vivere al Nord, mi turba ancora oggi vederne affiorare gli aspetti più deteriori. Intendiamoci, non sono un illuso, so bene che certi cambiamenti radicali sono impossibili. Se mafie e camorre varie hanno trovato spazio, non è solo per sfortuna quanto per un bisogno aberrante di potere alternativo a quello ufficiale, esercitato dallo Stato. Talora il potere centrale si fa sentire con blitz polizieschi e con processi che fanno storia ma troppo spesso i poteri locali non solo scendono a patti ma addirittura, si appoggiano ai potentati locali, indipendentemente dalla loro liceità.

Non è necessario, quindi, essere mafiosi per adottarne metodi e mentalità e, anzi, ribadisco, quel tipo di criminalità è solo una faccia particolarmente aberrante ed eversiva di quella sub cultura che non subisce ma genera il fenomeno. Non mi ha stupito, anche se mi ha addolorato quindi, sentire ieri che in Sicilia si occultavano i decessi. I dati relativi a quelli derivanti da pandemia pare venissero taroccati, ritardati per non risultare ultimi della classe e, soprattutto, per restare in arancione ed evitare l’inevitabile, il rosso scuro. Non mi è affatto chiaro come si potessero “spalmare nel tempo” dei dati difficilmente occultabili come quello dei decessi ma pare che lo stessero facendo da tempo. Intercettazioni telefoniche e documenti riservati parlano chiaro. C’era una volontà deliberata di manipolare dei dati che dovrebbero essere più che ufficiali.

Chi mi legge con assiduità sa bene come fossi scettico sui dati relativi ai contagi e al valore indice che dovrebbe darci il tasso di positività, che significa il livello di diffusione del virus. Devo ammettere però che non avrei ma potuto immaginare che perfino un valore assoluto inoppugnabile potesse, invece, essere manipolato senza scrupoli. In questo caso immagino che la Mafia non sia coinvolta, almeno direttamente, ma penso piuttosto alla mentalità locale che è poi terreno di coltura della criminalità organizzata. In una città come la Napoli che ricordo, dove fermarsi ai semafori rossi non solo era considerato una stravaganza esotica d’importazione ma, addirittura, un disturbo per il traffico, l’organizzazione alternativa, più o meno eversiva, ha spazio a iosa. La storia recente e remota di quella realtà sociale ce lo conferma.

Chi mi legge con assiduità, e scuserete se mi ripeto,sa bene come avessi espresso da tempo la preoccupazione per possibili abusi e malversazioni derivanti dall’emergenza. Fra forniture di mascherine, come accaduto già in Lombardia e di siringhe a perdere, fra vaccini bidose e relative priorità di scelta e di somministrazione, mi aspetto altrettanti scandali ad orologeria, nel senso che nei prossimi anni avremo aule di tribunali intasate da dibattimenti processuali che vedranno la parola fine molti anni dopo la mia stessa fine. Facile prendercela con sciacalli del Nord o con manipolatori di statistiche del Sud. Invertendo i fattori il prodotto non cambia e quindi consentitemi di fare, per una volta, il Bartali degli ultimi anni, scettico e ripetitivo nel suo parteciparcelo.

I gendarmi francesi non fanno complimenti coi clandestini che cercano di passare dall’Italia in Francia. Ci raccontano di una famiglia intercettata e ributtata qui da noi e fin qui, nulla di nuovo. Il dato impressionante è quello della ragazzina che è parte del nucleo familiare e che è in ospedale. Nessuna frattura o ferita al corpo quanto una ferita forse peggiore. E’ stata ricoverata sotto choc per l’andamento della vicenda. Poliziotti francesi brutali? Ragazzina iper sensibile? Non lo so ma ne leggo le conseguenze e non ci sto affatto bene, anche se poi potrebbero essere arabi islamici e nemici di Israele. Poi sento di centinaia di animali che a casa del blocco di Suez soffrono per sete e fame, fino a morirne e ci sto male ma, in caso, ne parleremo in seguito.

CONTROMATTINALE 70/21

Il 25 Marzo dello scorso anno moriva George Floyd. Molti di voi immagino non ricordino come fu ammazzato in diretta televisiva ma forse ricorderete adesso il brutto episodio che si consumò credo a Minneapolis. “Non riesco a respirare I can’t breathe” cercava di gridare, mentre tutto il peso del poliziotto che lo aveva fermato continuava a soffocarlo per quel ginocchio piazzato in gola. Quasi dieci minuti, nove minuti e 29 secondi per l’esattezza che possono apparire brevissimi se sono rapportati ad un incontro romantico ma apparire un’eternità, specie se poi se ne muore. La novità, rispetto alle migliaia di episodi di brutalità anche assassina cui si sono macchiate le polizie degli USA, ma anche qui da noi, è rappresentata dalle telecamere. Mentre il poliziotto lo soffocava un suo collega in uniforme assisteva senza intervenire, forse complice o, forse, perché quello non era un suo arresto . Due poliziotti armati e con un uomo a terra possono ammanettarlo nello spazio di pochi secondi rendendolo in tal modo inoffensivo ma non sembra che i due tutori dell’ordine fossero indirizzati in quella direzione. Lo si voleva umiliare, forse? Dubito che l’intenzione fosse quella di uccidere ma si sa, spesso i bravi ragazzi in uniforme si fanno prendere la mano.

Pare che la linea della difesa nel dibattimento processuale appena aperto sia già chiara. La vittima che era un pessimo soggetto, spacciatore e drogato lui stesso ha avuto il pessimo gusto di morire mentre lo arrestavano, forse per overdose o per fisico debilitato da una vita depravata.Non escludo che l’uomo fosse un delinquente ma quei nove minuti e mezzo non possono essere accettabili in uno Stato di diritto. Sembra infatti che questo processo sia considerato epocale ma mi permetto di ricordarne altri, nel passato, particolarmente seguiti dai media. Sto pensando a O.J Simpson che se ne uscì pulito dopo un omicidio familiare particolarmente efferato, se la memoria non m’inganna.

Se una persona che delinque, che commette reati orribili, non ha diritto ad essere trattata correttamente, secondo la legge, non è più un cittadino ma diventa, ipso facto, un suddito, un cittadino di serie B. Ho davanti ai miei occhi una foto che risale alla fine degli anni quaranta o poco dopo: cinque giganti tutti in uniformi della polizia di New York troneggiano accanto ad un omino, piccolo e curvo. Padre e figli erano dotati di un cognome evidentemente italiano e la foto era l’evidenza di come una dieta altamente proteica possa trasformare le caratteristiche fra padre barbiere e figli poliziotti. Ve la cito perché allora ero manicheo come tutti i bambini, coi poliziotti buoni e i delinquenti cattivi, come i cow boy e gli indiani. Poi si cresce e si apprende come il bianco e il nero non sono mai così nettamente distinti e distinguibili. Non mi stancherò mai di ribadire come fra quei colori, che poi non sono nemmeno colori, come ci spiega la fisica, ci siano le famigerate enne sfumature di grigio.

Del resto, se gli eccessi e gli abusi delle varie polizie dei vari Stati del nord America ci sono note e, storicamente, hanno perfino seguito l’andamento della questione razziale, non è che le nostre polizie siano sempre immacolate e prive di pecore nere. Da sempre abbiamo due armi in concorrenza fra loro e spesso in duplicazione. A Roma piazza santa Maria in Trastevere è presidiata, quando non è abbandonata del tutto, da non meno di due auto dai colori diversi e sono quella della Polizia di stato e quella dei Carabinieri. Non basta, perché accanto alle due forze concorrenti se ne potrà inserire una terza, quella dei Vigili urbani, non a caso ribattezzati poliziotti regionali o cittadini. Quindi, e mi correggo, non una ma due Polizie aggiuntive che poi possono essere perfino aiutate dalla fiamme gialle, ovvero dalla Guardia di finanza. Ho perso il conto ma se sottolineo queste nostre peculiarità è anche perché in ognuna di queste Armi, si possono trovare alcune o molte mele marce che inquinano credibilità ed onorabilità dei vertici.

Del resto può accadere, come è accaduto, che questi stessi vertici cerchino di occultare e manovrare per evitare conseguenze penali, spesso diluite anche per i tempi biblici e per i troppi livelli processuali, sicuramente due ma quasi sempre tre. Può così accadere che una madre in attesa di vedere la fine dell’iter giudiziario per la morte del figlio Aldrovandi, in circostanze simili a quelle di cui vi raccontavo, possa essere contestata e perfino minacciata dagli imputati e dai loro solidali camerati, improvvisati giustizieri del mattino. Può anche capitare che un carabiniere decida di sedare una rissa, pur essendo dall’altro lato di un’autostrada e spari per intimidire ma pensa com’è sfortunato lui, colpisce a morte, inavvertitamente, un automobilista che stava partecipando alla rissa. Quando si dice la sfortuna, che assomiglia a quella dei malati di mente bloccati da poliziotti per essere sottoposti a trattamento sanitario obbligatorio e che muoiono per eccesso di contenzione. Mi verrebbe da dire “cura definitiva e radicale”. Insomma, può non piacerci come funziona la Giustizia all’estero ma anche noi non ci facciamo mancare mai nulla, compresi i Carabinieri in servizio che stuprano le stesse ragazze che hanno appena chiesto la loro protezione.

CONTROMATTINALE 69/21

I simboli possono essere interessanti e parlarci, sempre che si sia disponibili a notarli. Sono uscito poco fa in giardino per il solito trasporto immondizia e ho notato come la fitta nebbia di un’ora prima si stesse alzando. Chissà se i momenti bui che stiamo vivendo tutti, si evolveranno in positivo, con l’azzurro del cielo e del mare prevalenti? Tre numeri oggi mi hanno colpito e sono adatti ad essere giocati al Lotto, per chi volesse, in varie combinazioni fra ambi e terno.I principali sono più del doppio del numero di base e rappresentano, in crescendo rossiniano, il tasso di vaccinazioni che si segnalano in Russia, in Europa e negli Stati Uniti d’America. Che la Russia sia indietro rispetto ad Europa ed America non stupisce e nemmeno scandalizza. Mi scandalizza, piuttosto, che un Paese nettamente indietro nella campagna vaccinazioni, possa offrire forse dosi, sicuramente tecnologia in esportazione europea.

Superfluo sarebbe ricordare le polemiche recentissime contro questo o quel Paese che si tengono strette le scorte di vaccini. Chi le ha sollevate sembrerebbe ignorare come i Governi abbiano il dovere di salvaguardare la salute dei propri cittadini e, forse, solo in subordine, quella di Paesi contigui e/o politicamente alleati. Mi domando cosa diranno costoro, nell’apprendere che un Paese che avrà pure i suoi problemi interni, va in giro con la valigetta campionario ad offrire un prodotto che sembra faccia fatica non so se a produrre o a far accettare in patria. Il business dei vaccini, gli uni contro gli altri, sembra sia come quello dell’oro nero dello scorso secolo o quello dell’oro giallo di quello precedente. Il guaio è che se oro e petrolio sono beni limitati, le pandemie potranno essere, grazie alle famigerate varianti e mutazioni, l’incubo del futuro e quindi oro, petrolio e magari uranio dei nostri nipoti.

Ieri sera aspettavo l’inizio di un film da camera su un’emittente Mediaset e mi sono imbattuto in una decina di minuti di discussione, gestite da una tizia a me del tutto ignota come ignoti erano un bellone canuto, ben vestito e beffardo, più un altro paio di comparse bercianti. La parte del leone la faceva un giornalista sovranista che ci vorrebbe fuori dall’Europa mentre un corrispondente Rai, impropriamente fuori sede e spaesato, tentava di dire la sua, credo sull’esperienza britannica. Le rare volte in cui m’imbatto in queste trasmissioni spazzatura, mi rendo conto da dove arrivino certe discussioni private e un mix d’intolleranza e faziosità diffusi, con tanta prepotenza e voglia di prevalere.

Ho definito il film di ieri, film da camera perché seguiva uno schema caro ad un certo tipo di teatro: un gruppo di amici di vecchia data formato da tre o quattro coppie si trova a cena e nel corso della serata emergeranno le dinamiche fra le coppie e fra i singoli, partner sessuali o solo amici. Il catalizzatore è un gioco innocente, con tutti i cellulari sulla tavola e con l’obbligo di usare il viva voce ad ogni chiamata o di leggere gli sms in arrivo. Sembra un gioco come un altro ma, in crescendo rossiniano, emergono via via tutte le meschinità, le vergogne, i tradimenti morali e gli adulteri, incluso uno omosessuale. A quel punto l’unico amico che aveva lasciato a casa una compagna solo millantata ma inesistente, esce allo scoperto e fa outing omosessuale, rivelandosi in fondo il più sano e limpido di tutti.

Mi è sempre piaciuto il Cinema da camera, di evidente derivazione teatrale. Ho in mente due autori, Terence Rattigan e Novel Coward, ammesso si scrivano così che, con pochi personaggi e dialoghi contenuti, mi aprivano nuovi orizzonti forse sessant’anni fa. Il film di ieri sera, massimamente didascalico, non fosse per un audio pessimo, ci rappresenta un campionario completo di varia umanità, mettendo assieme in maniera poco credibile a cena, due coniugi che sono una psicoanalista e un chirurgo plastico e altri due che sono un tassista e la giovane moglie totalmente spaesata e in cinta da minuti. Se dunque superiamo questa stravaganza, necessaria forse per offrirci un campionario adeguatamente rappresentativo, abbiamo enne ragioni di riserbo da parte di ciascuno, alcune quasi nobili ma, nella massima parte, piccinerie che si vorrebbero tenere al riparo da sguardi impietosi. Se infatti qualche indulgenza reciproca la troviamo fra gli amici, pochissima o nulla emergerà all’interno delle varie coppie che sembrano sfaldarsi tutte e tre. Strano poi un finale in cui sembra che tutto si appiani, tornando poi alla normalità. Una metafora nella metafora, a segnare come il compromesso sia necessario e come “il gioco della verità” possa essere destabilizzante per tutti, proprio tutti.

CONTROMATTINALE 68/21

Da tempo, chi è più giovane e smart di me, mi accusa di essere negato per la tecnologia, specie verso le novità. Pazientemente, nel confermarlo, integro però l’informazione ricordando come io sia stato fra i primi due o trecento milanesi cui venne presentato il web in assoluta anteprima, più di trent’anni fa. Analogamente, ho assistito al sorgere e allo sparire di alcune aree di discussione, i famigerati news group, quelli che iniziavano con it, sostituite da strumenti più moderni, come Facebook. Un mezzo che dai suoi primi vagiti molto primitivi si è poi evoluto fino a forme davvero imbarazzanti di invadenza, quasi da grande fratello o, comunque, da fantascienza. Se appena appena effettuo una piccola ricerca sugli appartamenti in vendita in provincia di Venezia o se indago sulle crociere nel Mediterraneo, mi accadrà a lungo di imbattermi in stimoli nella direzione di quegli interessi. Pazienza poi se si trattava di mera e breve curiosità.

Accade poi che quegli stessi strumenti che usiamo senza difficoltà, da anni, quando addirittura non li abbiamo inaugurati noi stessi come precoci utilizzatori, si rivoltino contro, s’inceppino e non ne vogliano più sapere di collaborare. A quel punto mi accade, puntuale, l’inserimento del giovane amico che mi tratta da vecchio obsoleto, se non peggio, mi promette pronta soluzione, salvo poi ammettere, dopo vari tentativi infruttuosi, che, forse, chissà, “c’è un problema in Rete”. Lui o lei vi dirà non Rete ma web oppure on line, anche se spesso la sua conoscenza dell’anglico idioma risulta di gran lunga inferiore alla vostra. Se un tempo potevo effettuare disinvoltamente operazioni di home banking e di queste avere traccia, ricevute stampabili ma, soprattutto trasferibili a terzi, come prova concreta dell’avvenuto pagamento, adesso Unicredit che ha effettuato enne aggiornamenti alla sua pagina, si limita a dirmi che l’operazione è andata a buon fine. E la ricevuta?

Vi risparmierò gli altri numerosi esempi di imbecillità telematica, non degli utenti ma dei progettisti di siti e dei loro sistemi di navigazione ma era solo per dire che ieri non solo non mi permetteva correzioni del testo, da tempo non è una novità ma, addirittura, non mi ha permesso di pubblicare come faccio quotidianamente da molti anni. Guai ad uscire dalla videata per, magari, controllare un dato. Mi sarà problematico, se non impossibile, aggiornare il testo e perfino correggere piccoli erori, come questo cui manca apposta una erre.

Pur non essendo riuscito a pubblicare all’interno del mio Contromattinale il pezzo appena scritto, con fatica sono riuscito ieri a fare un maldestro copia e incolla in cui mancava un breve brano che non era marginale e che non vi trascrivo ma che cercherò di riproporvi, rielaborandolo appena un poco. Ricorderete che parlavo di Canale, di anniversari relativi, di rotta breve se attraverso quel passaggio e costi, più rischi elevati, facendo la vecchia rotta pre Lesseps. Un brano che si è perso accennava, per analogia, alla Autosole. L’ho vista crescere, elaborata a tratti, fino alla sua prima congiunzione Milano Napoli. Poi la successiva estensione fino a Reggio Calabria. Poi la constatazione di come stesse diventando inadeguata al traffico, in crescita esponenziale, specie per automezzi pesanti. Poi, ancora, la scelta di passare dalle due alle tre corsie per ordine di marcia, spesso impossibile per tratti come la Bologna Firenze, da cui la creazione di una “variante di valico”. Insomma aggiornamenti che hanno seguito l’evoluzione, senza anticiparla ma prendendo atto delle nuove esigenze.

Il canale di Suez, opera faraonica non solo per la sua ubicazione nella terra dei faraoni ma ardita per l’epoca della realizzazione, nacque in anni in cui le navi, quelle passeggeri come quelle da carico, erano piccole rispetto alle attuali. I moderni porta container sono giganti e, infatti, quello che ha bloccato il canale è in grado di essere una specie di diga, incastrato fra i due lati del canale. Quasi un simbolo del momento storico in atto, abbiamo due zone dell’Africa che sono chiuse e che richiederebbero una qualche forma di aggiornamento tecnologico. Allargamento forse? Senso unico alternato, con tre giorni in giù e tre in su? Ci scherzo, se me lo permettete, ma credo che come per l’Autosole, con tutte le sue pecche tuttora vive, coi cavalcavia a rischio crollo, anche il Canale andrebbe aggiornato o superato. Come? E che ne so, conosco il problema, non la soluzione. Allargandolo, forse. Se perfino i veneziani, finalmente, vedranno sparire le grandi navi da crociera dal canale giudecchino, forse anche in Egitto potranno cambiare qualcosa anche loro.

CONTROMATTINALE 66/21

Se vi dicessi che oggi festeggio per la centocinquantottesima volta il mio compleanno, potreste accusarmi, a buona ragione, di follia. L’Anagrafe, assieme a voi, mi smentirebbe subito. Eppure non mi sono bevuto il cervello e, se avete pazienza, adesso vi spiego le mie ragioni. Più o meno a quest’ora, dopo una notte piuttosto movimentata per il parto, mio padre si recava in municipio, ad Atessa, provincia di Chieti, presso l’ufficiale di stato civile, con molta sicurezza dichiarava che “ieri”, ovvero la notte precedente era nato un quasi normale Vittorio, Haim, Gabriele e così fui registrato come nato il venticinque marzo. Mia madre era allora quarantaduenne, età assurda allora per una gravidanza ed era stata assistita da una vecchia ostetrica quasi cieca, ma aveva le idee ben più chiare dei due uomini. Le due di notte del 26 non sono il 25, ovviamente.

Le circostanze della mia nascita erano conseguenza dei momenti terribili che si stavano vivendo. L’attacco vile alla Grecia aveva trasformato tutta la famiglia di Papà, suo padre, il fratello e noi tutti, in nemici del regime pur essendo greci residenti da parecchi decenni in Italia. Ad Atessa non eravamo sfollati, come pensano spesso gli amici cui non racconto la storia per intero, non eravamo confinati, come piaceva dire romanticamente al fratello minore di mio padre. Eravamo internati, ovvero costretti a starcene nel paesello e pazienza se un parto difficile o una malattia grave avrebbero richiesto lo spostamento in città. Ammesso che la Chieti di allora potesse essere considerata città.

Ci sono culture presso le quali i compleanni sono ignorati e, infatti, non solo giorno e mese ma perfino l’anno di nascita di mio padre era in discussione, al di la della forma ufficiale dei documenti e solo pochi anni prima della sua morte, ci confessò di essere più vecchio di un anno. Resterò per sempre nel dubbio che me lo avesse confidato per riuscire a raggiungere non solo de facto ma anche per noi figli, il secolo. Mia madre che superò quel traguardo di ben cinque anni, al contrario, nascondeva la sua età e a noi figli ragazzini dichiarava ben dieci anni di meno. In tarda età si giustificava sostenendo di averlo fatto per noi, per non farci sentire figli di vecchi ma credo che fosse lei, civettina come la definiva la sorella maggiore, a nascondere i documenti anagrafici, implacabili. Sorella maggiore che se ne andò da questa valle di lacrime, anche lei in età veneranda,come quasi tutti i Foà e i Levi di cui ho notizia.

Torniamo dunque al mio centocinquantottesimo compleanno informale per ricordare il piccolo disagio che questo incidente di cui vi dicevo mi ha arrecato per tutta la mia vita. Infatti devo ricordare ogni volta sia necessario, come i documenti mi invecchino di un giorno ma soprattutto l’esigenza di ricordare quel venticinque ufficiale. Da bimbo festeggiavo il ventisei. Ricordo che quando ero alle Elementari, almeno una volta mia madre mi aveva tenuto a casa da scuola e nello svegliarmi. era entrata in camera da letto con un carrello da the, una roba che non esiste più ma che era dotato di rotelle e di due vassoi sovrapposti. Era pieno di regali e pazienza se quelli veri erano uno o due. Attorno ai pacchi regalo mia madre allestiva un trionfo di giocattoli fra cui i miei soldatini, già posseduti ed ereditati da un cugino parecchio più grande ed erano di pregiata fattura e tutti pre bellici. Anche un paio di automobili giocattolo non potevano mancare e ne ricordo ancora una azzurra, grande. Riproduceva in latta un modello americano e in quegli anni le auto di sogno erano rigorosamente Cadillac, Pontiac e Oldsmobile. Niente armi giocattolo, a segnare pacifismo familiare ma anche l’orrore per la guerra recente che anche in famiglia aveva mietuto vittime fra malattie e soprattutto, per i parenti greci, per il mattatoio nazista che azzerò la popolazione ebraica di Iannina. città epiriota più ebraica che ellenica, fino a quel momento.

Quando, pochi anni fa, rivangavamo quegli anni con Laura, la mia sorellina maggiore cui ero stato presentato la mattina del ventisei, settantanove anni fa,ci complimentavamo coi nostri cari scomparsi, il nonno Levi e i nostri genitori che avevano fatto del loro meglio nel tenerci lontani dagli orrori appena passati, come anche dalle difficoltà obiettive del presente. Se poi ci fossero riusciti appieno non lo saprei proprio dire, temo di no.

Riepilogando, non penso di vivere altri settantanove anni ma mi sto organizzando per viverne ancora parecchi, possibilmente lucido mentalmente e passabilmente in forma, fisicamente. Come dice spesso un mio buon amico, “vedremo”.

CONTROMATTINALE 65/21

Se vi dicessi che siamo in guerra mi obiettereste che sono retorico ed esagerato. Eppure, dopo un anno dall’insorgere acuto del morbo, i numeri di morti e soprattutto le dinamiche, fra continenti e stati, e poi fra regioni all’interno dello stato, fino ai rapporti con i nostri vicini di casa, nel senso di condomini, sono da guerra mondiale. Interi continenti, fra Europa, America, Asia e Australia sono sotto attacco ed è sempre più problematico distinguere nemici da amici. Non ho dimenticato ma ho omesso l’Africa che, al momento, sembra la meno trasparente o monitorata. Non sarà che in quei Paesi le morti di massa non fanno, comunque, notizia, sia per vere guerre con massacri tribali, sia per carestie che fanno anch’esse il loro macabro bottino?

Assistere allo scontro ideologico e verbale fra negazionisti e colpevolisti è stato sconfortante ma perfino comprensibile. Un fenomeno inedito crea reazioni confuse ma poi, nel tempo, si dovrebbe arrivare ad una sintesi che, in realtà, non solo non si vede ma neppure si intravvede e su cui escludo si possa contare. I negazionisti arrivano perfino a forzare la realtà. Fingono che i morti siano tutti morti di vecchiaia, di malattie, di incidenti stradali e perfino di noia. Accusano i cinesi, oppure big pharma, oppure gli ever green israeliani o, addirittura, gli ebrei e citano Mao o Soros, creando minestroni cui le anime belle degli sprovveduti e degli analfabeti di ritorno si attaccano. Come dai tempi delle pestilenze storiche si cerca il responsabile e, invece di prendersela coi ratti, se la prendono con le streghe, ovvero con le donne, con gli eretici, ovvero gli ebrei, con i senza dio, ovvero con i liberi pensatori. Le streghe oggi sono tutte le donne, con riferimento speciale alle femministe ma anche alle donne che lavorano. Inutile dire che gli ebrei sono soprattutto gli israeliani ma poi si citano, sottovoce o apertis verbis, secondo gradimento, i giornalisti e gli influenti di matrice culturale ebraica e poco importa se vanno in giro con la kippà in testa o se sono attivi nell’estrema sinistra politica.

Poche ore fa circolava una pagina virtuale in cui una pseudo contro informazione sosteneva che in Israele muoino come mosche ma che non lo si dice. Che la sperimentazione dei vaccini sta creando un solco sociale fra israeliani religiosi o ultra religiosi che sarebbero falcidiati ed altri che se la caverebbero appena meglio. Inutile dire che si tratta di solita bufala, una delle tante messe in giro dalla pseudo democrazia del web che consente a chiunque di creare una testata virtuale e, da quella, lanciare anatemi contro questo o contro quello. Vero, invece, che le ennesime votazioni, quattro a distanza ravvicinata nel tempo, non mostrano un panorama politico modificato, a segnare come si possa essere moderni ed avanzati ma si debba poi accettare un sistema politico sclerotizzato ormai da parecchi decenni.

In realtà è molto più facile raggiungere in tempi brevi la copertura vaccinale necessaria al ritorno alla normalità per paesi piccoli che non per mastodonti come la Cina. Il dieci per cento in Cina è numericamente molte volte il cento per cento, non a San Marino ma, appunto, per Israele e perfino per l’Italia. Una realtà la nostra in cui nessuno sa ammettere errori e mentre frau Merkel fa pubblica ammenda, noi addebitiamo i nostri problemi, ritardi ed errori conseguenti, ad un algoritmo. Ammetto ignoranza specifica ma gli algoritmi non si autogenerano ma sono frutto di geni della matematica. In caso di incidenti stradali non ce la si prende con l’automobile ma col conducente o, al limite, col meccanico impreciso o col costruttore superficiale. Noi ce l’abbiamo invece con l’algoritmo, algido concetto straniante che assolve tutti, presidenti di Regione inclusi.

Mentre una Israele, “soggetta a crisi pandemica con morti a gogo” si riapre ed è pronta a ricominciare, più bella di prima e perfino pronta a dare una mano a chi ne abbia bisogno, abbiamo paesi ricchi che corrono nella campagna vaccinale, noi europei invece siamo in affanno con l”Italia in apnea e alcune zone, un tempo le più avanzate, letteralmente in assenza d’ossigeno.

CONTROMATTINALE 64/21

Pochi minuti fa, a chiusura di un giornale radio, ci ragguagliavano su un libro appena uscito. Titolo asciutto, costituito da una sola parola greca e autore dal nome anche più difficile da memorizzare. Ci ho provato ma da breve ricerca on line, non ne distillo nulla e quindi non azzardo citazioni. Mi sembra però interessante e la ragione per cui lo rimarco, è legata alla vecchia questione dei rapporti fra israeliani e palestinesi. Attenzione, non mi riferisco alla situazione in atto ma di storica origine, non ai rapporti fra stati e politici delle due parti ma ai rapporti interpersonali. Il libro in questione non è un romanzo anche se credo ne abbia la forma: è la cronaca di un rapporto fra un palestinese ed un israeliano, entrambi orbati dall’affetto dei figli, morti per mano avversa. Non so in che circostanze e con quali modalità questi figli, ragazzi? uomini fatti? militari o civili? non è essenziale saperlo., abbiano perso la vita. Fondamentale mi sembra, piuttosto, l’elaborazione del lutto, sublimata attraverso il dialogo fra due uomini, due padri dolenti che creano dialogo, rapporto, condivisione fra loro.

Parrebbe quasi che dall’evento concreto si possa distillare più di uno spunto simbolico. Al dialogo, spontaneo, dei due padri si aggiunge uno spettatore neutro. Non è ebreo o islamico, è un americano di fede cristiana che raccoglie le confidenze dei singoli e la testimonianza di questa amicizia nata dal dolore comune, indipendente da ideologie e bandiere che di queste sono il simbolo più noto. Fossi un cialtrone superficiale, potrei suggerire questa chiave di svolta, il diffondersi del dialogo al di sopra delle parti ufficiali come soluzione salvifica, ma non mi creo illusioni. Già anni fa Manuela Dviri che aveva perso il figlio militare in una circostanza limite, aveva provato ad avviare un dialogo diretto col mondo avverso ma la cosa non era piaciuta a molti. Eppure credo e lo andavo dicendo in quegli anni, che le reazioni e le emozioni di ognuno di noi andrebbero, comunque, rispettate per il loro valore di testimonianza, Personalmente rispetto ed ho la massima solidale comprensione verso coloro che, davanti all’orrore di massacri perpetrati da fanatici tagliagole stradali, fomentati dai politici palestinesi, invocano giustizia vendicativa. Il dolore ci tocca e ci fa reagire secondo sensibilità diverse e credo che tutte vadano rispettate, specie di fronte a lutti e drammi che fortunatamente ci toccano solo da lontano. Facile sputate sentenze in ambiti che non ci toccano direttamente, cui siamo lontani non solo geograficamente ma anche culturalmente.

Nel corso della mia ormai lunga vita ne ho sentite tante, troppe. Specie da parte di chi s’illude di vedere “il conflitto medio orientale” come ormai lo chiamano impropriamente un po’ tutti, ho ascoltato e letto analisi e suggerimenti. Ottimi, forse, a livello generale e politico ma quando ti toccano i sentimenti, le tue reazioni, quali che siano, vanno rispettate. In questo caso, rispetto quelle dei palestinesi come quelle degli israeliane che, in entrambe le variabili, saranno molto diverse, fra loro come al loro interno. Per fortuna, anche nelle comunità umane più omogenee, ci sono distinguo e differenze che portano a divergenze. Per coerenza con la mai posizione non li commento oltre e non suggerisco altro che dialogo, unica modalità in grado di sciogliere nodi e di sanare cancrene storiche, cui non bastano antibiotici ma cui serve, temo, il seghetto del chirurgo. In quali mani, con quali modalità e tempi, giuro che non lo so e diffido di chi, non solo pensa di saperlo, ma ce lo vuole perfino comunicare.

CONTROMATTINALE 63/21

Ricordate la spensierata posizione di Boris Johnson sulla pandemia? Negarla non gli servì a scongiurarne le conseguenze e dopo essersi beccato lui stesso il virus da cui uscì più scarruffato che mai, ha poi lanciato una massiccia campagna di vaccinazioni. Il guaio è che al di la di promesse e di accordi fin troppo informali, i vaccini non bastano e dunque gli inglesi hanno cercato di mettere le mani su impianti italiani, quelli di una multinazionale del farmaco che pare avesse aderito, dirottando gran parte della sua produzione. Per fortuna è intervenuto Draghi a bloccare questa operazione scellerata.

Ricordiamo tutti, credo, il tira e molla che il Regno unito ha attivato con la vicenda denominata Brexit. Quando Br è arrivata ad exit lo sgomento fu non solo nostro ma anche di molti di loro. Però, una volta fatta la frittata, è impossibile tornare alle uova di prima. Un divorzio inevitabile, gestito col massimo possibile di correttezza reciproca. Adesso, però, che avrebbe fatto maledettamente comodo a loro di essere ancora dentro, non possono mica fingere di non essere fuori. Al di la dei nostri lavoratori o studenti in difficoltà si è scelto, sia pure da una maggioranza risicata, di allontanare le sponde della Manica e dunque, che si arrangino e ci lascino nei nostri guai che già, anche senza i loro interventi, non sono pochi e nemmeno lievi. La superficialità con cui sono stati stilati i contratti di fornitura pare lasci spazi enormi di discrezionalità da parte dei fornitori di vaccini. I tempi di copertura, qui in Europa, si dilatano al punto che ci dicono che prevedono di raggiungere la copertura vaccinale ottimale prima dell’Estate. O forse in Autunno.

Chi promette, o solo si limita a prevedere, sembra non capire come le incertezze, Primavera, Estate o Autunno non sono solo stagioni ma, in questo caso, scadenze. Famiglie che cercano di capire se arriveranno ancora sussidi. Altre che vorrebbero sapere se lo sfratto che è stato sospeso verrà riattivato e quando. Altre che temono licenziamenti, formalmente congelati ma poi arriveranno e saranno dolori individuali ulteriori, per non dire dei problemi sociali di massa che si incancreniranno.Passata la prima ondata del virus, sopportata con filosofia e con canti di quartiere liberatori, da finestra a balcone, passata anche la seconda, già con qualche nervosismo in più, alla terza si comincia ad essere stufi. Stufi dei disservizi plateali cui assistiamo direttamente o per passa parola.

Ci avevano parlato di categorie fragili da privilegiare e così sembrava che gli ultra ottantenni dovessero essere già tutti vaccinati ma non è così. La macchina organizzativa è, appunto, molto disorganizzata. Ci raccontano di anziani costretti a viaggi di decine di chilometri da casa, anche se disporrebbero di un centro vaccinazioni sotto casa. Ci raccontavano, prima dell’emergenza, di come siano più efficienti le Regioni a guida leghista. L’articolo di Mattia Feltri di oggi affronta il tema con ironia affilata e denuncia tutte le falle gravi nella proverbiale organizzazione lombardo veneta. Ci sono zone d’Italia in cui anche i settantenni hanno già ottenuto la loro seconda dose mentre io che mi avvio a breve verso gli ottanta e vivo a Venezia, non so nulla su tempi e modi di somministrazione. Si favoleggia, anzi, che dovremo essere noi a farci vivi con le ASL di riferimento, magari via web, magari prenotando in un sistema che pare sia già saturo, impazzito e non in grado di fare il suo mestiere. Ma, banalmente, non abbiamo da sempre i codici di avviamento postale? Non siamo inseriti in ASL con competenza territoriale? Non sarà che poi, da Venezia città, sarò costretto a recarmi dal lato opposto di Mestre, all’ospedale dell’Angelo, anche se abbiamo ambulatori vicini e perfino un ospedale storico, quello stesso che “per razionalizzare”, anni fa volevano chiudere e che solo la sollevazione popolare ha mantenuto, a ranghi e funzioni ridotte, ma esiste tuttora.

Nel frattempo Israele detiene l’invidiabile record di copertura vaccinale. Certo, è un paese relativamente piccolo. Certo, ha scelto di pagare di più del normale le dosi che si è assicurato, libero com’è da vincoli comunitari. C’è però dell’altro, a mio avviso. Un Paese piccolo ma non piccolissimo, abituato da sempre a vivere in emergenza, da quella bellica a quelle terroristiche, un Paese in cui non avverti il peso di quelle cambiali se non nel fucile che i militari, anche in licenza, recano sempre con sé, l’efficienza è necessità di sopravvivenza.

CONTROMATTINALE 62/21

Anche se vi scrivo da Venezia, anche se mi sono formato fino alla laurea a Napoli, la città dove ho vissuto più a lungo e che credo di conoscere meglio, è Milano cui sono tuttora molto affezionato. In quella città sono partito da zero e ho creato una parabola che iniziò negli anni sessanta, raggiunse il suo acme negli ottanta, per portarmi in calando fino alla pensione. Ho così avuto l’opportunità di seguire direttamente anche la parabola, forse, sicuramente la curva meneghina. Archiviata la stagione in cui i tram avevano bigliettai a bordo, spesso anziani ed autorevoli, ho tuttora in mente la Milano industriale. Non un concetto astratto ma proprio impianti che un tempo erano forse esterni e che poi furono assorbiti, inglobati dal tumultuoso accelerare dell’urbanizzazione delle periferie.

Alla fine degli anni sessanta abitavo in piazza Napoli e ricordo bene come, dall’autobus che percorreva via Washighton si potessero vedere dei muletti che trovavano più facile usare la viabilità esterna per spostare i semi lavorati nei pallets della Borletti. Poi come dimenticare il profumo di vaniglia che potevo gustarmi quando dal centro città mi recavo al lavoro in una traversa di viale Forlanini subito al di la della linea ferroviaria ed era la Motta, ancora simbolo della Milano operosa e austera? E, last but not least, ricordate la “casa del Portello” come dicevano per non dire Alfa Romeo? Prima del suo spostamento ad Arese infatti l’Alfa Romeo aveva lo stabilimento dove produceva prima le millenove e poi le Giuliette che, pensa tu, collaudava lì attorno, non disponendo di un’apposita pista dedicata. Portello era dove adesso ci sono case di lusso come anche a San Siro dove coesistono con lo stadiuo e l’attiguo ippodromo.

Preistoria industriale o preistoria della Milano che conosciamo oggi? Il tempo passa, gli impianti industriali sono stati espulsi e perfino la Fiera campionaria ha dovuto cedere il passo alla speculazione edilizia ma anche ad esigenze di sviluppo che richiedevano il suo allontanamento dal centro città, con l’apoteosi poi della famigerata Expo. Non è storia recente la buona fama che la Sanità, meneghina e lombarda gode da molti anni. Malgrado le disavventure di Formigoni, finito in galera per un eccesso di privatizzazione del sistema sanitario, malgrado don Verzè e le sue orgette a base di cocaina, il sistema sanitario lombardo era considerato eccellente e infatti, da sistemi regionali disastrati, da Calabria, Sicilia e Campania arrivavano malati in cerca di cure adeguate. Forse il fenomeno non è mutato ma l’emergenza pandemica in atto sta mostrando non so ancora se la fragilità del sistema o piuttosto del vertice politico attuale.

La Sanità è notoriamente responsabilità regionale. Credo anzi che ai tempi dell’attuazione costituzionale che creò, nettamente in ritardo, l’ordinamento regionale, ci fosse stato entusiasmo da aspettative positive. Finalmente, ci dicevano. Poi, come spesso, se non sempre, ci si è dovuti rassegnare al fatto che in assenza di industrie e di vacche da mungere, i politici meridionali hanno usato le USL come serbatoi di voti, fottendosene di efficienza, operativa come economica. Ai costi elevatissimi si contrappone una qualità mediamente pessima, con buona pace di poche oasi di eccellenza che non mutano il panorama generale avvilente. E allora, meno male che la Lombardia c’è.

Ma siamo poi tanto sicuri che ci sia? Le notizie che vedono il presidente della Regione Fontana nel famigerato occhio del ciclone partivano da uno scandaletto familiare, a base di siringhe gestite negli acquisti, attingendo da familiari prestanome. Poi, e siamo ai giorni nostri, la campagna vaccinazioni è in ritardo drammatico. Chi si diverte a proiettare nel tempo l’attuale tasso di copertura vaccinale ci parla di anni, non di mesi, necessari per raggiungere la famigerata copertura dell’ottanta per cento. Non bastano i ritardi che, ci giurano, verranno recuperati, sempre che i vaccini arrivino davvero, ci si mettono anche gli intoppi organizzativi.

Avete presente quei sistemi moderni telematici che usiamo ormai un po’ tutti, vecchi come me ma anche meno esperti di me? Spesso s’inceppano e allora si da’ addosso al malcapitato, bollato come incompetente e non aggiornato. Se non mi riesce di effettuare una banale operazione di home banking mi diranno che non sono capace, anche se la medesima operazione la facevo fino al giorno prima. Adesso ci dicono che l’efficiente Regione Lombardia ha adottato un sistema di prenotazioni per i turni di vaccinazione che convoca circa il dieci per cento del totale, ignorando il restante novanta che, in mancanza di notizie, aspetta più o meno pazientemente a casa. Avete capito bene. Una società privata cui è affidato un sistema di prenotazioni, tutto sommato banale, fa cilecca e riconosce e convoca una frazione trascurabile degli aventi diritto. In Lombardia, mica in Basilicata.

CONTROMATTINALE 61/21

Ieri sera mi è accaduto di assistere alla trasmissione di Amadeus su Rai Uno perché aspettavo il film televisivo che è stato girato in occasione del centenario della nascita di Nino Manfredi. Manco a dirlo, fra le presenze in studio, con Amadeus, c’era il figlio dell’attore, con l’evidente scopo di creare attenzione sul programma successivo. Ho apprezzato un Elio Germano capace di calarsi nei panni di Satur(nino), figlio di un maresciallo di pubblica sicurezza e fratello minore di un medico, a segnare l’ascesa familiare dei Manfredi, cresciuti in un piccolo e solidale paese della Ciociaria. Il film non ci racconta i successi professionali ed umani dell’attore ma ci narra sia il suo rapporto difficile col padre, lo sdoppiamento fra la laurea in Legge, faticosamente conquistata, sia i suoi studi in una scuola di teatro dove gli insegnano di tutto, a cominciare dalla dizione, sia il dramma della tbc.

Gli anni di formazione sono infatti segnati dall’insorgere della malattia che lo porta ad essere internato in un tubercolosario, con tanti casi gravi fino alla morte dei compagni di sventura. La regia ci mostra anche come, a quei tempi, una pseudovirilità accompagnata forse da ignoranza specifica, spingesse questi ammalati ai polmoni a fumare di nascosto, coi sanitari un po’ complici e molto formalmente contrari. Poi, dopo una tardiva iniziazione in un bordello, l’attore incontra e si lega a colei che sarà la compagna della sua vita mentre il film ci porta fino al momento iniziale di successo televisivo, col suo famigerato “Fusse che fusse la vota bona.”

Se il film si ferma a quel punto della storia, umana e artistica dell’attore, per molti di noi è facile ricordare poi la carriera cinematografica che iniziò con un episodio, girato in bianco e nero in cui interpretava un soldatino abbordato in un treno da una prostituta per poi passare a interpretazioni sempre più impegnativa che citerò non in ordine cronologico ma di incisività. Sto pensando a Per grazia ricevuta o al famigerato Caffè express in cui ricalca un personaggio tipo, ai margini della legge ma molto umano, fino a fare da paraninfo ad una Marisa Laurito esordiente che ha bisogno di intimità col suo fidanzato, in uno scompartimento ferroviario, tenuto vuoto dal venditore abusivo di bibite ma anche complice dei due amanti. Se devo essere del tutto sincero non credo di aver apprezzato adeguatamente il Manfredi attore ma, ripensandoci, mia antipatia a parte, è stato un grande, uno che ha saputo interpretare al meglio lo spirito nostrano, quello che altri attori suoi coevi, da Sordi a Tognazzi, hanno saputo lasciarci, come memoria degli anni della ricostruzione.

Subito dopo, una trasmissione che pare vada in onda da tempo, metteva in un salotto Sgarbi,Morelli e un attore di cui non ricordo il nome ma ve lo segnalo come Mimì, assistente di Montalbano nella serie televisiva notissima. L’idea era quella di farli confessare su questioni molto intime propiziati da una guagliona, già nota per essere (stata?) deputata dell’estrema destra ma anche moglie di un deputato del PD, già PCI. Mi sono spesso domandato come potessero andare d’accordo, fra salotto, cucina e camera da letto ma oggi sono più possibilista in merito. Se il solito Sgarbi era in giacca e cravatta, se lo psicologo era in dolce vita, l’attore sfoggiava una giacca di pelle da motociclista di 60 anni fa. Look solo apparentemente casuale perché, piuttosto, ci ho riconosciuto un posizionamento molto studiato. Raffaele Morelli che ricordo dagli anni ottanta con la sua rivista Riza psicosomatica, redazione a pochi passi da dove abitavo allora a Milano, mi è sembrato molto più ragionevole oggi che non allora. Invecchiare fa bene, allora?

Fa bene se si cresce e si invecchia con lucidità. Abbiamo infatti molti ultra ottantenni ma anche ultra novantenni che possono essere esempi interessanti di lucida saggezza. Sono i nostri vecchi che cerchiamo di proteggere vaccinandoli per primi. Poi accade che il figlio di Gad Lerner denunci la mancata vaccinazione della nonna che è centenaria e subito avviene il miracolo. Per una strana coincidenza le autorità preposte convocano la vegliarda dimenticata e si affrettano a vaccinarla. Insomma, il vecchio Andreotti con la sua frase su malizia e malignità, aveva ragione allora e tuttora continua ad averne