CONTROMATTINALE 92/22

La notizia di una morte violenta è sempre fonte di rimpianto. Se poi la vittima è una donna giornalista questo assume toni ben più accorati del normale e infatti la notizia dell’ennesima giornalista uccisa in Ucraina ha “fatto notizia”. Abituati come siamo a vedere alcuni nostri corrispondenti televisivi abbigliati ad hoc, con giubbotto e casco protettivi più la vistosa fascia con la scritta PRESS, dimentichiamo spesso la nutrita categoria degli inviati che se ne stanno in albergo e che scrivono, o addirittura filmano, i loro servizi sorseggiando aperitivi e digestivi. La poverina non è morta nell’esercizio della sua professione ma all’interno della sua stessa abitazione, colpita come possiamo vedere ogni sera in televisione, da qualche ordigno in missione speciale.

Un brutto episodio che ci ricorda l’elevato numero di giornalisti morti nell’arco di questo primo mese di guerra in Ucraina ma che mi rimanda anche ad un vecchio film di Claude Lelouch con un romantico corrispondente di guerra, Vivere per vivere, interpretato da Ives Montand, un francese che era in realtà un oriundo italiano, dal bel nome di Ivo Livi. Prima di quello mi ero emozionato alla vista della coppia Trentignan Aimè di cui, potete capirmi, ricordo ben più volentieri la seconda. Quel pilota da 24 ore di Le Mans che usa la stessa auto poi per correre in Costa azzurra per incontrare la sua bella era poco credibile, almeno per chi capisce qualcosa di sport motoristici. Non esiste proprio che un’auto speciale, preparata per le competizioni, ancorché di durata, venga usata per una gita fuori porta. Chissà poi se Trentignan fosse stato scelto per il suo bel viso da buono stralunato o se, piuttosto per il suo cognome, lo stesso di un parente, Maurice, che correva in formula uno negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, detto sia cacca di topo, in francese però, sia pilota gentiluomo.

Il nipote attore, francese anche lui ovviamente, fece una carriera brillante, grazie al cinema italiano e in specie alla sua interpretazione, come spalla di Gassman, nel film di Dino Risi, Il sorpasso in cui il personaggio ingenuo e stralunato, muore nell’Aurelia spider che, appunto per un sorpasso criminale, precipita nei flutti nostrani. E poi lo ricordate invece nel film di Scola, La terrazza? No? Pazienza ma trovo interessante come un francese abbia interpretato più di un personaggio tipicamente italiani, a sottolineare come la finzione cinematografica possa lavorare bene perfino nel manipolare la realtà.

La guerra in atto non ha quasi nulla di finto, con le fosse comuni e le case da abitazioni sventrate ma basta ribattezzare una guerra di conquista come operazione speciale e tutto si ridimensiona. Da giorni mi accade però di domandarmi se moriremo a causa di questa operazione e se per caso, di speciale, non ci sarà l’uso della bomba, quella speciale davvero.

CONTROMATTINALE 91/22

Sono nato nel corso della seconda guerra mondiale e, anche se non ne posso portare memoria diretta, sono convinto di essere rimasto permeato da quell’esperienza che ha sicuramente segnato la vita della mia famiglia d’origine. Le guerre sono orribili e anche se avevamo sognato che dopo quell’immane massacro, culminato con Hiroshima e Nagasaki, non ce ne sarebbero state altre, al contrario non c’è stato un solo giorno in cui, da qualche parte, non ci fosse uno scontro armato. Adesso ci risiamo e a poche ore di percorso automobilistico da noi si sta consumando un dramma le cui conseguenze nel tempo sono difficili da prevedere, fermo restando un punto certo. Quali che possano essere le linee di uscita, ne pagheremo tutti conseguenze pesanti e pesantissime.

Mi sto domandando, a titolo personalissimo, se dopo essere nato sotto le bombe e a rischio concreto di finire ad Auschwitz come troppi bimbetti ebrei della mia stessa generazione, oggi il rischio di chiudere la mia vita sotto una bomba moderna sia, più che un’ipotesi, una possibilità concreta. Sento già, dal fondo, la solita voce ottimista che mi rassicura. Certo, l’umanità ha superato in passato prove molto complicate e ne siamo venuti fuori e, infatti, non mi preoccupa il futuro dell’umanità ma, più banalmente, sono preoccupato per il futuro prossimo del mio Paese e, più specificamente, di chi mi sta leggendo.

Mi sembra di sentire da lontano la voce dell’amico ottimista che mi dice quello che già so, ovvero la capacità di autogenerarsi del nostro pianeta e in particolare della nostra specie. Grazie Mario, ci arrivo a capirlo anche da solo, anche senza il tuo prezioso contributo ma, oggi come oggi, te la senti di scommettere sul senso di responsabilità di personaggi come Putin, dopo che in passato abbiamo assistito alle gesta di suoi predecessori, non solo nel suo Paese ma in giro per il mondo? Nel corso degli anni mi sono domandato spesso quale sia, davvero, il rapporto di causa effetto fra popolazione e classe politica. Non mi stancherò mai di sostenere come possano cambiare le etichette ma non il contenuto del barattolo e quindi non so dire che differenza intercorra fra lo zar, Stalin e Putin.

La democrazia non si può esportare, anche questo è un mio pallino ossessivo e quindi, se decidiamo di non comprare più energia dalla Russia ci tocca di comprarla chessò, dall’Egitto che non è certamente un Paese democratico ed affidabile nel tempo. Non solo, ma perfino qui da noi trovi qualcuno che rispolvera deliranti teorie complottiste a base di burattinai, magari dal semitico naso adunco e dalle dita rapaci, che muovono le fila di noi burattini. Sarà forse anche per questo che vedo il mio futuro piuttosto fosco. E voi, il vostro?

CONTROMATTINALE 90/22

Come ogni napoletano, ogni volta che scrivo novanta, specie in questo contesto, mi torna in mente la Smorfia che assegna alla paura l’abbinamento con quel numero, l’ultimo del gioco della Tombola, gioco fortemente partenopeo e pregno di significati, perfino esoterici. L’odierno dialogo con te che mi stai leggendo passa attraverso la paura, appunto. Anzi paure, come quella primaria della guerra, non solo alle nostre porte ma a concreto rischio di estensione incontrollata. Poi c’è quella sanitaria con la simbolica quarantena del nostro premier, con Draghi costretto a sospendere eventi pubblici, in attesa di depositivizzarsi. Poi c’è quella economica, determinata anche, forse, proprio dalla crisi mondiale in cui pandemia e Putin se la battono per decidere cosa sia prevalente.

In questo quadro mi tocca sentire un giornalista del Manifesto, testata certamente non di destra, contrastare un ascoltatore di Prima pagina che se la prende con Biden che, secondo lui, sarebbe artefice della crisi in atto. Arriva perfino a sostenere che gli USA sarebbero il Paese più feroce e responsabile dei peggiori massacri in età moderna. Chissà quell’ascoltatore come deve aver studiato male la materia scolastica che chiamano Storia ma, soprattutto, cosa legge e cosa fuma. Chissà ad esempio cosa sa della Shoà e, più in genere, dei milioni di civili e militari morti per le idee deliranti di Hitler. Oppure cosa sa dei gulag di Stalin, come anche degli spostamenti forzati all’interno del’URSS. E poi, ancora, della Rivoluzione culturale maoista e così via.

Immagino che ognuno di noi abbia in mente un certo numero di eventi tragici che, magari, non mitigano le responsabilità statunitensi in Vietnam ma che nulla, o quasi, hanno a che vedere con la tragedia che da mesi ormai si sta consumando qui da noi, a casa nostra, in Europa a cavallo fra noi e Putin. Oggi il rischio concreto di un’estensione del conflitto ci arriva dalle parole di Putin che minaccia e prevede il peggio.

Nel frattempo, per evitare scosse eccessive alle economie europee ci si appresta a tornare al carbone, scartato ormai da una vita per ragioni di natura ecologica. Fra inquinare e restare al freddo, fra un ritorno temporaneo al passato e una recessione economica mondiale, sarebbe folle sbandierare oggi il vessillo ecologista. Il guaio serio, per restare solo qui in Italia, è che ai dati economici ufficiali, obiettivamente preoccupanti, si affiancano quelli ufficiosi che temo non possano essere migliori dei primi. Da sempre in Italia abbiamo, al fianco del sistema ufficiale, un’economia piratesca il cui unico merito sta nel permetterci di sopravvivere, anche a dispetto dei dati che coscienzioso ci sforna, spesso tardivamente, l’Istituto di statistica, l’ISTAT. Al di la dell’angosciosa domanda sul focolaio bellico così vicino a noi e così tanto incerto, cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi tempi, in tema di recessione e contrazione dei nostri consumi? Dovremo rinunciare al quotidiano caviale, annaffiato da champagne francese millesimato?

No, non la metto in burletta perché sappiamo tutti come a fianco di tante famiglie in serie difficoltà ce ne siano poche ma note che si stropicciano le mani, felici di extra guadagni che perfino Draghi pensa di gravare di tasse ad hoc. Lunga vita al capo del governo ma temo che questo suo più recente orientamento lo metterà fuori gioco politico.

CONTROMATTINALE 89/22

I casi in cui il Cinema si cita non sono pochi, come non sono rarissimi i film in cui l’ambiente è una produzione cinematografica in cui accadono cose. Ieri sera un film programmato in tv mi ha attratto per essere una coproduzione europea ed israeliana. Regista e cast per me ignoti, ho trovato nel corso degli eventi illustrati alcuni spunti di riflessione che mettono assieme sia la mia passione per il Cinema che per le questioni, tante, di tema ebraico. Scrivo Cinema con la maiuscola non tanto per rispetto quanto per chiarezza. Cinema in minuscolo potrebbe apparire riferito alla sala e non al vasto mondo che precede la proiezione, appunto in sala. Del resto il boom del Cinema via etere ha messo colpevolmente in secondo piano le sale tradizionali che sono sparite via via e sostituite da supermercati dello spettacolo, con impianti multisala cui vengono affiancati altri servizi, dalla ristorazione all’editoria specializzata.

Il film di ieri sera partiva da un’ottica palestinese. Una soap che ingaggia uno sfigato soggettista e sceneggiatore, scelto solo perché nipote di uno dei produttori della serie, potrebbe essere denigratoria verso questi tizi ma poi anche i soldati che controllano i passaggi fra le due zone ci vengono proposti come ottusi e perfino disumanizzati. Il loro capo, uno che assieme alla moglie segue la soap ogni sera e scopriremo che il fenomeno è diffuso, molti israeliani la seguono arrivando ad identificarcisi, l’ufficiale responsabile dei controlli di confine “sequestra” lo scarruffato sceneggiatore.

No, non lo fa per ostilità quanto, piuttosto, per ottenere anticipazioni sugli avvenimenti delle serate successive. Il ragazzo, molto professionale, resiste mentre l’ufficiale vorrebbe inserirsi, intervenire direttamente nelle scelte di sceneggiatura, soprattutto nella trama. Questa prevede un matrimonio misto fra un ufficiale israeliano ed una intensa donna palestinese che nel bouquet che porta in mano cela un telecomando bomba che prevede il suo stesso sacrificio assieme ai tanti convitati “sionisti”. Peccato che l’ufficiale israeliano sia in totale disaccordo, punta ad uno happy end che possa garantire una seconda stagione e in questo apparentemente futile contrasto si cela un pensiero per nulla affatto leggero e disimpegnato. Se in Israele si vorrebbe normalizzazione e pace stabile non è altrettanto vero in casa palestinese. Ecco perché due sposi possono solo apparentemente confluire su un obiettivo comune mentre sono totalmente e radicalmente orientati diversamente fra loro.

Metafora della situazione politica in atto nella regione? Solo spettacolo volutamente leggero e quasi disimpegnato? Difficile dirlo, ma una considerazione mi frulla in mente da ieri sera. Solo un Paese sinceramente democratico si permette di mettersi in ridicolo, coi soldati burattini e col loro comandante che vorrebbe un proprio futuro come soggettista di soap, per giunta palestinese. A volte anche piccoli spunti simbolici possono essere squarci illuminanti, no?

CONTROMATTINALE 88/22

Per me, cresciuto a Napoli, Acerra è il paese dove sarebbe nato Pulcinella, la famosa maschera pseudo napoletana, pseudo perché quel paese non è Napoli, per quanto possa essere vicino alla vecchia capitale del Mezzogiorno. Scopro con deplorevole ritardo che è anche benemerita nella storia della nostra Resistenza mentre per molti decenni avevo attribuito a Napoli e alle sue gloriose giornate di riscossa anti tedesca, l’inizio della guerra partigiana. Per anni ho festeggiato anche io il venticinque Aprile sfilando a Milano, da porta Venezia a piazza Duomo e per anni ho dovuto assistere a scene, per me che mi sentivo politicamente a sinistra, sgradevoli al limite del doloroso. La contestazione nei confronti degli ebrei finiti su per i camini dei mattatoi nazisti, non meno di sei milioni, rievocati da coloro che sfilano sotto la bandiera della Brigata ebraica, quella formazione militare che combatté in Italia, sotto la bandiera britannica. Se Israele doveva ancora nascere, già allora ne veniva contestata la sua buona ragione e perfino oggi, a distanza di circa ottant’anni, trovi chi contesta questo suo buon diritto, formalizzato a suo tempo da un voto presso le Nazioni Unite in cui perfino l’URSS fu a favore.

Passano gli anni, alcuni o molti pseudo progressisti che hanno studiato male la Storia, forse attingendo da fonti troppo faziose, si sentono autorizzati a sputare sentenze o peggio, a danno di uno stato sovrano che vorrebbe vivere in pace ma che fin dalla sua nascita, nell’ormai lontano millenovecentoquarantotto, viene contestato nella sua legittimità e addirittura minacciato di annientamento. Una minaccia solo apparentemente ridicola e velleitaria. Non era così allora, circondata com’era da Stati tutti ostili che iniziarono una guerra d’annientamento da cui uscirono loro per primi con le ossa rotte. Al di la dei trionfalismi da incontri di Canasta, anche i neo israeliani pagarono un pesante tributo di sangue, tributo che anche in guerre successive fu pagato e soprattutto, da troppi anni, viene vissuto in frequenti attacchi terroristici contro la popolazione civile israeliana.

Ancora ieri a Milano pare abbiano contestato il vessillo della Brigata ebraica, confondendolo forse con l’attuale bandiera israeliana, ignoranti forse, sicuramente fuori luogo. Intendiamoci, possono anche non piacere alcune o molte delle scelte politiche che questo o quel Governo israeliano ha compiuto in tutti questi anni. Specularmente però mi sento di dire che mai si è avuto conferma reale di una volontà concreta di pacificazione da parte palestinese. La brutta faccenda di Camp David e perfino dei Nobel della Pace con Arafat insignito è ormai storia passata. Restano intatte tutte le ambiguità italiane mentre abbiamo avuto e abbiamo Lele Fiano, Furio Colombo e perfino Fassino che a sinistra risultano dissonanti verso una vulgata che vuole difendere i buoni palestinesi dai cattivi israeliani. Cui prodest? Non lo so ma credo di sapere e lo vado dicendo, inascoltato da decenni, che l’antisemitismo non è di destra ma è trasversale e si esprime in mille modi, incluso un peloso e solo formale e tattico appoggio di una destra infrequentabile. Quella destra che sa vedere solo l’aspetto muscolare e non quello democratico che Israele non si stanca di difendere, a volte proprio a vantaggio di attentatori o oppositori violenti.

Se le carceri israeliane hanno detenuti palestinesi che compirono attentati, i palestinesi sanno solo uccidere e perfino lapidare, trattenendo poi i corpi martoriati di poveri ragazzi rei di indossare la divisa con la famigerata stella di Davide, segno di appartenenza religiosa prima che statale e politica.

CONTROMATTINALE 87/22

Questa mattina tre nomi mi frullano in testa, prioritariamente, e sono Macron, Le Pen e Putin. Non una triade ma tre protagonisti, non necessariamente positivi, di queste ultime ore. A differenza di altri, miei conoscenti insonni, non ho seguito trasmissioni notturne con aggiornamenti e commenti ma ho avuto solo poco fa la conferma che aspettavo e su cui nutrivo pochi dubbi e zero apprensioni. Ci dicono che la rielezione di Macron è un fatto raro nella storia repubblicana francese e ammetto che questo aspetto mi sfuggiva. Ciò che, piuttosto, già in passato non mi sfuggiva era la segmentazione del mercato elettorale che la famiglia Le Pen, più o meno consapevolmente, compiva appunto in passato.

Avevamo in Italia sia il “vecchio fascistone” come si diceva tanti anni fa, riferendosi a nostalgici e perfino compromessi col regime mussoliniano, sia i così detti post fascisti che si posizionavano come né né, ovvero né col e nemmeno contro, modalità ipocrita per strizzare l’occhio ai fascistoni padri e per sdoganare i figli, neri non di pelle che, anzi, ma di camicia e soprattutto di anima. In Francia tre generazioni di Le Pen presidiavano il mercato delle camice nere, col nonno e nipotina sul fronte più duro e con Marine che si proponeva e propone, si fa per dire, come moderata.

Il doppio turno lascia poco spazio alle sfumature e infatti, al netto delle astensioni o, peggio, degli sberleffi vergati nelle cabine elettorali di ieri, molti elettori hanno scelto ciò che per loro rappresenta il meno peggio e non c’è dubbio che Macron lo sia per i suoi elettori ma anche per noi, suoi partner europei. Lascio a chi mi legge l’impegno di trasferire la lezione di ieri nella realtà della triade di destra nostrana che vede, anche da noi un nonno, Berlusconi, una nipotina già pasionaria, Meloni e un terzo incomodo che tifa Putin, apparentemente contro ogni sua logica politica ed elettorale.

Putin è apparso ieri in un evento, credo a Mosca, e subito i giornali europei si sono scatenati. Era proprio lui o un suo sosia? Non è che ci hanno inviato immagini precedenti? Il vestito che indossava non era lo stesso di enne giorni fa? A fugare queste domande quasi isteriche arriva un corrispondente italiano. Lui c’era e ci racconta come è andata. Lo ha visto e perfino sentito parlare. Peccato che per ottenere questo privilegio si dovesse essere invitati ma questa era solo la condicio sine qua non. Per accedere non bastava il possesso dell’invito, pare firmato da Putin stesso, si dovevano comunque passare enne controlli, anche fisici, fra metal detector e perquisizioni personali. Non so come la pensiate e reagiate a questi dettagli ma io, per parte mia, ci leggo ansia e insicurezza. Il timore di attentati è sempre presente nell’animo dei dittatori, molto meno in quello dei politici eletti e rieletti o mandati a casa. Putin a casa non torna e teme per la sua stessa salute. Mi sa che non sbaglia. Anzi, sta sbagliando in molte cose ma non in questo timore anche se di dittatori uccisi da attentato temo ce ne siano pochissimi e nemmeno ne ricordo. Buon 25 Aprile su cui pensavo di scrivere qualcosa ma, forse, domani.

CONTROMATTINALE 86/22

Comincio questo mio pezzo dopo pochi giorni di assenza e dopo aver passato un brutto quarto d’ora: il mio blog, questo storico spazio che alcuni di voi, benevoli, seguono con gentile sollecitudine, non mi riconosceva più come autore e c’è voluto del bello e del buono per rientrare, mentre non so ancora se poi funzionerà, se la grafica scelta a suo tempo sarà rispettata. In buona sostanza, se esisto o no.

Lo so, sto drammatizzando eccessivamente, esisterò anche se e quando non sarò più in grado di digitare e leggere, evento che mi auguro di non dover sperimentare ma cui sono preparato, figlio come sono di centenari che, inevitabilmente, alla fine non disponevano più di alcune capacità fisiche di base. Eppure ho da anni un riferimento interessante, quel Mario Foah (Foà) ormai ultra centenario con cui si dialoga con l’oceano in mezzo e con cui, tenendo conto dei fusi orari, parlo in video conferenza come fa lui con molti suoi parenti che vivono in Italia. Fratelli e cognate, nipoti assortiti ed amici di lunga data che Mario incontra ormai virtualmente, tenendosi aggiornato.

Di Mario ho già scritto più volte in questo spazio, perché è un personaggio che merita di essere conosciuto e fu proprio in quell’ottica che scrissi poche pagine che poi pubblicammo sotto il titolo Mario Foah, Eroe dei due mondi, proprio per ricordare come lo definiva scherzosa mia sorella Laura, compagna dei suoi ultimi anni felici. Se Mario si è adeguato alle nuove offerte della tecnologia moderna ci sono giovani che, al contrario, sembrano volersene tenere distanti.

Poco fa ascoltavo per radio la storia di un sedicenne, un ragazzo che scrive molto bene e che ha deciso di non usare il famigerato telefonino, ovvero lo smart phone che a me consente, ad andare bene, telefonate peripatetiche ma ai tecnologi più elementari offre attività sofisticate, come orientarsi perfino nel deserto. Se io non penso di avventurarmi in zone desertiche sembra che anche il sedicenne escluda di usare il proprio cellulare per cazzeggiare con gli amici e con le amiche. Lui in tasca lo porta ma non lo usa mentre accetta solo sms in entrata che legge con comodo e che non è detto avranno risposta. Vi stupisce se vi confido massima simpatia verso questo ragazzo che credo crescerà bene e diventerà un laureato di buon livello? In fondo di uomini massa ce ne sono troppi, di eccezionali positivi pochissimi ma quelli sono considerati eversivi, lontani dai modelli noti e quindi da considerare con diffidenza. Molto più “normali” le bulle, sedicenni anche loro, che vessavano perfino fisicamente una compagna resa succuba e poi mostrata in video scellerati. Denunciate per queste loro violenze, temo siano molto più frequenti del loro coetaneo che non usa il cellulare e chissà anche quanti altri episodi o perfino azioni continue avvengono senza che se ne sappia nulla e che la vittima venga liberata.

I giovani sono potenzialmente tutto; dalla genialità alla peggiore criminalità e chissà come si comportava Hitler a scuola. Forse era perfino rispettoso delle autorità, impaziente di sostituirsi poi a quelle.

CONTROMATTINNALE 85/22

Chi mi conosce davvero dovrebbe sapere quanto il femminile abbia avuto peso nel corso della mia vita e non a caso cito spesso Woody Allen che quell’aspetto non ci faceva mancare mai nelle sue storie cinematografiche. Non è dunque un caso se oggi vi parlerò di tre donne che non conosco affatto ma che mi si sono presentate questa mattina, una accanto all’altra, grazie alla rassegna stampa radiofonica. La prima si chiamava Letizia Battaglia e anche se il suo nome mi era familiare non avrei saputo dire nulla se nel rimpiangerla non mi avessero ricordato la sua militanza come fotografa. Essì, perché una fotografa professionista potrebbe proporci immagini edulcorate di fiorellini e cuccioli assortiti ma pare che la signora, palermitana doc e perfino dispensatrice di ricette regionali, incluso il classico pasta con le sarde ripropostoci proprio con la sua voce, sia stata attenta cronista della cultura isolana con specifica cura degli aspetti peggiori della mafia.

La seconda è una signora che conosco ormai da decenni, fa di nome Clorinda e devo avervene scritto già, in passato, perché ho nozione di lei da parecchi decenni. La signora “Clorinda da Sessa Aurunca” come compiaciuta ci compita ogni volta, ha toni ragionevoli veicolati da una voce placida e marcatamente collocabile nella provincia campana. Quello che sente il bisogno di comunicarci non è importante anche se denota un buonsenso logico e perfino condivisibile, ma ogni volta incappo nella sua voce, talmente familiare da essermi comunque riconoscibile, mi sento rassicurato, c’è ancora e anche se è perfino possibile sia più giovane di me mi dico che i vecchi reggono e riescono perfino a far sentire le loro voci e ragioni.

La terza signora di cui vi racconto, mi scuserete se non la posso ricordare per nome, è un’insegnante credo di Lettere che ha lasciato la cattedra da molti decenni. Non è una baby pensionata ma, piuttosto, un’ultra centenaria che per il suo recente compleanno ha visto attorno a sé alcuni dei suoi allievi di un tempo, tutta gente matura che la ricorda ancora con affetto e riconoscenza. Brevemente intervistata, la voce incerta ed opaca, ci ha però testimoniato lucida consapevolezza e ho provato quasi invidia nei confronti di quei signori e signore che possono ritrovarsi, magari dopo mezzo secolo e più, richiamati da quella signora che immagino impartì non solo regole di sintassi italiana e di metrica latina quanto, piuttosto, di cittadinanza consapevole e responsabile.

CONTROMATTINALE 84/22

Le cronache che ci arrivano dall’Ucraina invasa, sono quasi sempre orribili. Spingono alcuni ben pensanti, non so se in buona fede o in caccia di consensi facili, ad escludere la possibilità di entrare in guerra, negando realtà contemporanee e Storia, in un’unica soluzione. La guerra invece, purtroppo, è talmente insita nell’umanità che perfino il Libro inizia con una breve guerra fratricida che si consuma fra Caino ed Abele. Agli orrori che ci arrivano in tempo reale, fra massacri non solo di militari e uccisioni a freddo di passanti rei di cercare un farmaco se non addirittura cibo, si aggiunge la pagina dolorosa degli stupri.

I soliti ben pensanti pensano, appunto, che si tratti di propaganda ed allora, ammesso che siano lettori di qualità, ricorderò loro due opere letterarie di spessore. Nella prima, titolo La Storia, la Morante ci racconta l’amore materno che una vittima di stupro nutre per quel figlioletto che ne è il frutto proibito. Il secondo, in realtà scritto molto prima e a firma Luigi Pirandello, ci racconta la storia di un figlio ormai adulto che cerca la madre che lo ha rifiutato dalla nascita e che ancora lo odia. E’ frutto di uno stupro, già odioso come normale ma aggravato dalla presenza del compagno della donna che verrà poi decapitato e con la cui testa lo stupratore giocava a palla. A questi due titoli emblema del fenomeno, ne affianco un terzo, quel La Ciociara che non so se coevo o precedente La Storia e quindi non so nemmeno se Morante e Moravia fossero ancora coppia o già ex. Io che ricordo poco di tutto, credo che sarebbe interessante effettuare un’analisi comparata fra i tre titoli, specie considerando le due ottiche diverse, quella femminile contrapposta a quella maschile. Forse lo farò.

Non mi piace indulgere su orrori che non so però quanto siano presenti in coloro che davanti ad un caffè, a casa o al bar, leggono e si preoccupano, giustamente, per i loro risparmi e per il costo delle materie prime in inevitabile impennata, tiepidi o perfino indifferenti rispetto a ben altri drammi. E allora fatemi recuperare una notizia, una per tutte, che ci racconta di una donna ucraina segregata in cantina, nuda sotto il cappotto per essere pronta alle voglie dei suoi stupratori che poi pare l’abbiano anche uccisa. Una vulgata vorrebbe che questi episodi fossero e siano tuttora semplici forme di sfregio ma temo che il fenomeno, antico come il mondo, abbia radici ben più articolate e complesse.

I barbari che calavano nella nostra penisola ma anche i greci che conquistavano Troia, sentivano l’esigenza di modificare la composizione etnica dei paesi soggiogati. Lasciare tracce del loro DNA molto prima che questa nozione fosse stata scoperta, serviva a lasciare traccia indelebile del loro passare e questo spiega, in maniera ragionevole il fenomeno diffuso. Credo però che ci sia anche altro, il binomio eros e tanatos che si salda con quegli ormoni a palla che sono presenti in ogni gruppo di giovani e che si potenziano, se questi giovani da un lato rischiano la pelle mentre dall’altro sono spinti a conquistare, soggiogare, annientare. Ho il sospetto, nutrito da numerosi racconti che nel corso dei decenni ho raccolto da parte di militari e civili che vissero gli orrori della guerra mondiale, che un aspetto determinante delle conquiste militari sia proprio non solo l’umiliazione delle donne ma anche una presenza di geni conquistatori. Uccido uomini ma anche donne, militari ma anche civili inermi e, in più, lascio tracce del mio DNA che nessun detersivo potrà lavare via.

Nella Napoli degli anni quaranta nascevano bimbi neri, figli di soldati statunitensi che non stupravano ma che creavano coppie di breve durata, alimentate da scatolette di carne, cioccolata e AM lire, la provvisoria valuta coniata dagli occupanti o liberatori, secondo ottica soggettiva del momento. Fu allora che la musicalità napoletana espresse quella canzone che fa, grosso modo così, “E’ nat’ nu criatur, niru niru, sissignore… ” in cui le nascite di mulatti napoletani erano attribuite a… spaventi materni, più accettabili di gravidanze indesiderate. James Senese, forse ignoto o dimenticato dai più, era appunto saldatura fra musicalità napoletana e afro americana, frutto positivo almeno lui di un fenomeno vecchio come il mondo.

CONTROMATTINALE 83/22

Prima di entrare, ancora una volta, nelle nefandezze belliche quotidiane vorrei segnalarvi una notizia lampo che mi ha colpito e che sollecita qualche mia considerazione. Sembra sia stato comminato un ergastolo a danno di un giovane che uccise un coetaneo rivale in amore. Sentenza dura che ha sgomentato i buonisti e gli psicologi della domenica, gente sempre pronta a mettersi nei panni degli assassini e molto meno in quelli delle vittime e di coloro che le piangono, a lungo e per tutta la vita. Non indulgerò ad attingere dall’immagine di quell’ergastolo virtuale cui l’assassino ha condannato i genitori della vittima come tutti coloro che a quella vollero bene, per non dire della ragazza contesa che si porterà per la vita il peso della vicenda. Preferisco piuttosto ricordarvi il famigerato “delitto del Circeo” con studenti anche loro circa ventenni che stuprarono e uccisero una ragazza e solo per errore ne lasciarono una seconda in vita, malconcia ma in grado di inchiodare gli assassini. Uno di questi bravi ragazzi della buona borghesia romana di estrema destra che non era fuggito per sempre, uscì un bel po’ di anni dopo, redento secondo gli psicologi abilmente raggirati e incredibilmente riuscì, ancora una volta, a reiterare il reato, ancora un femminicidio che lo ha finalmente confinato in carcere per sempre.

Non so e non posso sapere se l’oligofrenico ventenne ergastolano possa essere considerato una potenziale mina vagante, anche fra qualche decennio, non ci sarò a verificarlo e ad attestarlo. Penso con pena a lui ma anche di più a chi, in caso, potrebbe essere una nuova vittima della scarsa capacità di tenere sotto controllo le sue tendenze aggressive, se non omicide. Certo, mi fa pena ma me ne fa molta di più la sua vittima e tutto il mondo di lutto e rimpianto che attorno al ricordo di lui si starà consumando. A costo di apparire o di essere manicheo, fra vittima ed aggressore sto dalla parte della vittima e mi fa molta più pena l’ergastolo virtuale di chi è rimasto, rispetto a quello comminato fisicamente all’assassino.

Uso il vocabolo aggressore perché sto pensando agli eventi bellici in Ucraina in cui un aggressore, assassino e stupratore vorrebbe farsi passare per altro, perfino per normalizzatore e pacificatore. Se le guerre sono sempre orribili, la loro cronaca può variare a seconda di chi ce la propina. Ottant’anni fa mio nonno Haim cercava di documentarsi usando una proibitissima radio Philips, tutta legno e tela dedicata all’alto parlante. L’apparecchio, sottratto alla requisizione cui era destinato essendo mio nonno, greco oltre ad essere ebreo e quindi considerato nemico, nascosto in cantina veniva ascoltato al minimo del volume e con una coperta che metteva assieme mio nonno e cassettone, per evitare guai perfino più seri di quelli già patiti e da subire successivamente.

Oggi le guerre entrano in video a colori nelle nostre case mentre ceniamo in famiglia e questo può creare autentici casi di piccola schizofrenia domestica, col capo famiglia che gusta prelibatezze appena cucinate dalla moglie o dalla madre e che discetta di politica internazionale con la stessa sicumera della domenica, quando litiga con gli amici per controverse faccende calcistiche. Le guerre non sono minuetti ma nemmeno derby calcistici e i morti non sono solo raccontati, li possiamo vedere abbandonati in strade cittadine, poveri stracci insepolti o, ad andare bene, raccolti frettolosamente ed inumati in fosse comuni. Le guerre sono orribili eventi che possono essere aggiornati negli strumenti offensivi, dalla clava alle bombe a grappolo ma restano orribili anche nella memoria successiva, come per quella guerra in atto ai tempi remoti della mia difficile nascita. Ottant’anni e cambia poco se non per la disponibilità di immagini testimoniali, coi poveri corpi abbandonati in strada e con le case distrutte o sventrate.

Quello che non possiamo vedere ma che ci raccontano, sono gli immancabili stupri, spesso seguiti da uccisione della vittima, almeno due volte tale. Ce ne parlano, ci raccontano di una ragazza tenuta prigioniera in uno scantinato, nuda sotto un cappotto inadeguato, stuprata per giorni e poi uccisa. Propaganda? Balle create ad hoc per diffamare gli occupanti russi? Sarà pure ma i civili, cadaveri con le mani legate dietro la schiena o le famigliole falciate dal carro armato, o il padre di famiglia ucciso con un colpo alla nuca mentre cercava cibo, incerto fra morte per inedia e morte violenta, troveranno giustizia in futuro? Vedremo fra qualche anno i generali di Putin alla sbarra, rispondere di crimini di guerra? Stavolta avremo prove documentali che renderanno superflua qualunque testimonianza personale. Nel frattempo il vertice militare russo è cambiato a favore di un generale che ha fama di duro, molto più del suo predecessore. Peggio di così….