CONTROMATTINALE 314/22

Se a trecentosessantacinque sottraggo trecentoquattordici,ovvero il numero che leggete e che è accanto all’anno “22”, posso sapere in quanti giorni io mi sia assentato, fra qualche controllo clinico antelucano e spostamenti in giro per l’Italia. Da domani 01/23 segnerà l’inizio di un nuovo anno ma la cosa non mi eccita affatto. Ho superato da mille anni l’entusiasmo che provavo da bimbo, nella Napoli degli ultimi anni cinquanta, di fronte allo spettacolo pirotecnico che le famiglie napoletane esibivano, fra innocenti bengala e meno innocenti razzi, per non dire di quelle botte a muro che non a caso chiamavamo invece bombe a muro. L’allora ventottenne avvocato Mario Iasonna che frequentava casa mia con evidente interesse verso mia sorella appena quattordicenne, mancava della mano destra che pare avesse perso proprio a causa di una botta a muro che nel suo caso, era stata una botta a mano.

Non è che io voglia deprimervi, piuttosto vorrei sottolineare come il cambio di anno non cambi nulla o quasi nelle vite di ognuno di noi. Non penso, infatti, di avviare bilanci che non sarei nemmeno in grado di buttare giù. Preferisco piuttosto proporre alla vostra attenzione qualche minuto episodio che è fresco di giornata. Poco fa sentivo citare, in rassegna stampa, Eugenio Scalfari come fondatore del quotidiano La Repubblica e va bene ma anche del settimanale L’Espresso e qui i conti non mi tornano affatto. Ricordate questa settimanale testata nella sua iniziale veste grafica? Formato lenzuolo, come erano allora anche tutti i quotidiani, assenza del colore che era forse troppo costoso e forse futile, era diretto da Arrigo Benedetti, coadiuvato da un Sandro De Feo che non si limitava a gestire la pagina degli spettacoli, fra teatro e cinema ma credo fosse il numero due della redazione. E Scalfari? Certo, era parte della redazione ma non ad alto livello di responsabilità diretta.

Ammetto di non nutrire grande simpatia per Scalfari di cui ricordo benino l’aspetto fisico, la metamorfosi da capello scuro e viso glabro a folto capello canuto e barba bianca impeccabilmente gestita. Anche i toni di voce, quando lo si poteva vedere intervistato in televisione, erano flautati ma anche molto assertivi e non so dire se fosse più un grande vecchio autentico o un grande rivenditore di se stesso, versione grande vecchio. Mi secca però che si possa mitizzare il giornalista, inventando un suo ruolo nell’Espresso vecchia maniera. Lo definisco così perché nel corso degli anni è mutato sotto i miei occhi che da anni hanno deciso di non leggerlo più e perfino di non guardarlo. Una testata giornalistica non è un tot di pagine di carta che propongono un certo numero di pagine originali e molte altre, maggioritarie ormai, di pubblicità coerente col parco lettori fedeli. Può essere uno strumento di formazione forse, sicuramente di informazione. Eppure ci può proporre Eugenio Scalfari come fondatore della testata L’Espresso, senza rossori di vergogna ma contribuendo in tal modo alla costante disinformazione in atto.

L’Espresso che ricordo, lettore precoce di circa settant’anni fa, al di la della veste grafica citata, era benemerito per l sue campagne contro il sacco di Roma, ovvero quella massa di cemento senza regole che arricchì alcuni palazzinari non solo democristiani ma anche uno che risultava contigui rispetto al Partito Comunista di allora. Poi nel tempo si è annacquato fino a scomparire, per me, all’orizzonte. Il soggetto della mia frase è il settimanale ma anche il partito mi sembra annacquato e in crollo di consenso elettorale. Eppure, se facciamo i conti correttamente possiamo valutare come i totali, fra destra e sinistra italiane non mutino significativamente. Al crollo del Partito x corrisponde una crescita del Partito y e pazienza se mi rifiuto di accettare i 5 Stelle come Partito di sinistra. Se questo passa oggi il convento non solo dobbiamo accettarlo ma forse anche ragionarci su. Credo, temo che ci toccherà farlo nel corso del venti ventitre e scusatemi se non ne ho una gran voglia,

CONTROMATTINALE 313/22

Prima di entrare in argomento permettetemi di notare questo numero del Contromattinale, quel 313 che credo fosse affisso sulla targa dell’auto di Paperino, versione Mondadori. Malgrado quel numero bene augurale sappiamo tutti come il personaggio interpretasse lo sfigato, schiacciato fra uno zio megaricco ed un cugino megafortunato. Domani sarà il 314 e vi sarà facile sottrarre questo numero a 365 per calcolare quanti giorni io sia stato lontano dal mio Mac, a volte per piacevoli trasferte ma anche per piccoli inconvenienti o grossi contrattempi.

Poco fa sentivo l’ennesimo ascoltatore, italiano medio, attaccare il nuovo Governo Netanyahu, appena insediatosi in Israele. L’attenzione dei Media non è minore rispetto a quella delle anime belle, stessa matrice culturale di quelle che nei primissimi anni di vita dello Stato se la prendevano coi partiti di sinistra, allora al potere con Golda Meyr e Moshe Dayan. Non accusatemi preventivamente di pessimismo o di eccesso di partigianeria ma, in caso, solo dopo possiamo discuterne. Le vicende degli ultimi sessanta o settant’anni di vita democratica di quel Paese sovrano sono complesse e non starò a ricordarvele qui. Non sono molti i Paesi di cultura europea che hanno vissuto per generazioni uno stato di guerra permanente, fra brevi azioni militari e costanti attacchi terroristici. A chi, ingenuo o in mala fede, mi citava la nostra Resistenza, ricordavo come le azioni ostili fossero rivolte prevalentemente contro militari, sia nazisti che repubblichini, mentre le bombe nei bus urbani o nei centri commerciali tendono al terrorismo, a far sentire insicura e precaria tutta la popolazione israeliana civile residente, più perfino i turisti di passaggio.

E’ vero, pur essendo ancora una volta un governo Netanyahu, non una grande novità, il governo appena insediato è anche più a destra di prima, grazie alla presenza nella necessaria coalizione di un partito marcatamente di destra estrema. Scandalo espresso sia da certa informazione giornalistica, sia da commenti dei soliti indignati “antisionisti”. Fra questi trovi costantemente cattolici, spesso ma non solo di sinistra che avrebbero in orrore la violenza ma che poi solidarizzano coi poveri palestinesi che sono trattenuti in carcere. Non per borseggi o violenze private ma per aver dimenticato in un ristorante una bomba ad orologeria che ha devastato molte vite umane.

Scandalo italico dunque per il nuovo esecutivo Netanyahu, reo di essere di destra e di coagulare attorno a sé partiti di varia natura ma tutti altamente patriottici e nazionalisti. Sospetto che molti di questi critici verso Netanyahu siano distratti rispetto agli eventi di casa nostra. Se molti anni fa abbiamo avuto un governo Tambroni le cui gesta invito i giovani ad andarsele a leggere, il Presidente dei Ministri era comunque un democristiano mentre appena oggi abbiamo sì una donna ma una neo fascista. La storia personale e politica della Meloni è nota e la vede in passato fra i giovani del Movimento Sociale, partito orgogliosamente nostalgico del ventennio mussoliniano. Se allora era giovane o giovanissima, anche adesso è giovane ma non ricordo che abbia mai, nel frattempo, sconfessato le sue scelte precedenti o che ne abbia minimamente preso le distanze. Si limita ad ignorarle mentre il suo socio politico Salvini è meno presentabile di lei, fra vicende personali e politiche giovanili, precedenti come perfino recenti.

Eppure non sento dire da nessuno che noi si sia tutti dei fassisti o dei neo fassisti, perché si vota e come conseguenza di voto democratico riusciamo poi ad avere un Governo che è frutto di volontà popolare. Può piacermi poco la nostra capo del Governo ma è insediata legittimamente e posso solo, nel mio piccolo, criticare, pungolare e sottolineare eventuali falle, incongruenze o fellonie. Ci piaccia o meno, questo passa il convento e ce lo teniamo fino alla prossima crisi o alla sua naturale scadenza, evento nel caso da segnare come speciale ed unico.

CONTROMATTINALE 312/22

Qui a Venezia l’assenza di turisti cinesi la noti facilmente. Basta confrontare col passato, con appena tre anni fa quando non potevo ignorarli. Li vedevo passare nei taxi, affollati e in processione ma ormai non ci sono più. Per chi non conosce Venezia o ne ha un ricordo approssimativo, dirò che i taxi lagunari non sono delle quattro ruote ma dei motoscafi che possono trasportare ognuno più di dieci passeggeri più bagagli. I gruppi di turisti cinesi erano evidenti ed inequivocabili. Li vedevo scorrere sotto i miei occhi, inizialmente interessati e stupiti, poi assuefatti ed annoiati. Potevo contare file di otto o dieci taxi che mi davano totali di ottanta o cento turisti brevilinei e, per i miei occhi rozzi e ignoranti, indifferenziati, fatte salve le quattro categorie: donne e uomini come anche anziani e giovani. Anziani quasi sempre dotati di folte capigliature scure.

Se è abbastanza vero che i cinesi difficilmente sono canuti, immagino sia dovuto a mia grezzezza il mettere tutti i cinesi in un unico gruppo. Il guaio serio è che sono tanti, davvero tanti. Ci sono città cinesi che vedono popolazioni pari a medi Paesi europei, con decine di milioni di abitanti. Lo so, mi sto avventurando in un territorio insidioso e quindi qua mi fermo non prima di aver ricordato come le megalopoli, molti milioni di residenti perfino in spazi fisici inadeguati e inadatti, sono un po’ ovunque, fra Asia, Africa ed America latina.

Quando incrociavo le carovane di motoscafi di cui vi dicevo, potevo notare come sbucassero da un rio laterale per immettersi nel canale della Giudecca dove, svoltando alla loro destra, puntavano verso la stazione marittima. Li imbarcavano su navi da crociera? Li portavano in gita lagunare? Non posso rispondervi perché non lo so ma li ricordo ad affollare i tavolini dei bar esosi di piazza san Marco mentre posso riportarvi la mia impressione di essere irregimentati, così come ci viene detto per il loro standard di vita nelle megalopoli ma anche, forse, nelle cittadine rurali. A distanza di anni dall’inizio della pandemia, pare che dai controlli a campione effettuati, credo in Francia, attorno alla metà dei tamponi effettuati sui visitatori cinesi risulterebbero positivi. Eppure il virus era nato e si era diffuso in Cina e da quel Paese si sperava sarebbe arrivato il vaccino che avrebbe stroncato il morbo ma non è andata affatto così.

Non penso proprio che sarebbe il caso di criminalizzare quei turisti cinesi che, per altro, non si vedono più sia in gruppi che come singoli ma l’opacità originale e perdurante dei dati cinesi mi spinge ad alcune considerazioni che vanno al di la del fenomeno sanitario. Da anni lamentiamo la presenza, sui nostri mercati, di prodotti di basso costo ma anche di qualità infima. Blu jeans che lasciano tracce azzurre sulle cosce di chi li indossa o giocattoli per la prima infanzia che cedono parti che i pupi possono facilmente ingerire, per non dire di quelle vivande che sono tutte identiche fra ristorante cinese a prezzo fisso e suo dirimpettaio più pretenzioso solo per il servizio. Pagherete una decina di euro in più solo perché potete ordinare una bottiglia di vino italiano ma non vi scosterete dai soliti wan tong e dal riso cantonese, e via via fino agli immancabili lee chee conclusivi. Conto informalmente vergato a mano, difficile leggerlo ma certa la sua evidente irregolarità fiscale e contabile.

Passata da tempo l’era del film “La Cina è vicina”, ormai preistoria, abbiamo una Cina molto più penetrata di quanto sospettiamo. I turisti sono visibili, per loro presenza come anche per momentanea assenza. Visibili i pochi negozi che accatastano malamente la merce in vendita ma anche quei negozietti che nulla vendono ma che offrono telefonate intercontinentali a prezzi stracciati come stracciati sono i prezzi dei parrucchieri bisex e dei massaggi, spesso completi e di piena soddisfazione del cliente maschio. Se questi sono fenomeni ben visibili per chi non sia troppo distratto, se i containers cinesi sono trionfanti nei depositi in cui vengono scaricati dalle navi, le transazioni bancarie, gli investimenti finanziari nelle principali Borse occidentali, oltre a quelle asiatiche che sono sempre più opulente ed influenti, sono poco visibili ma ben più influenti dei blu jeans taroccati che, con etichetta falsamente italiana, indosso come anche tu che mi leggi. Può capitarmi allora di scartare il ristorante cinese a favore di un altro, storico e di cucina locale. Il cibo, le ricette saranno italiani ed ineccepibili ma in cucina forse, all’incasso sicuramente, hai un cinese che è concorrente disinvolto nel suo evadere il fisco. Tanto, se ne sanzionano uno, ne trovi subito altri che da prestanome cambiano gestione ma nulla di significativo, sia nei menu cantonesi che nell’evasione fiscale cambierà.

CONTROMATTINALE 311/22

Se volessi millantare, come fanno spesso gli utenti di social media, potrei sostenere di conoscere, ormai da decenni, l’attuale seconda carica dello Stato, quel La Russa che è oggi Presidente del Senato. In realtà, oltre ad Ignazio abbiamo anche un emblematico Romano, il fratello meno presentabile che in passato si distingueva non solo per nostalgie politiche ma addirittura per azioni neo squadriste. Quando abitavo a Milano ero in un piazzale intermedio fra il pieno centro, san Babila per intenderci, e la periferia est, piazzale Dateo. Potevo così raggiungere quella piazza e la contigua piazza Duomo con annessa Galleria, a piedi e in tempi ragionevolmente ridotti. A tre o quattro palazzi più in la, abitava Pillitteri, cognato di Craxi e sindaco mentre anche Ignazio La Russa era in zona. Al volante della mia auto mi accadeva di incrociare al mattino, direzione centro, sia un Tonino Di Pietro all’apice della notorietà, sia un suo più sobrio collega di “pull” che acquistava sigari nel bar tabacchi che frequentavo, contiguo rispetto sia all’ufficio che mi ospitava, sia anche al Palazzo di Giustizia.

Ricordo ancora quella volta che mi stavo recando a Linate, in aeroporto per uno dei tanti miei voli giornalieri per Roma. La Russa guidava una Cinquecento bicolore, tanto per non farsi notare e anche lui si apprestava a marciare in volo su Roma. Mi ci recavo frequentemente perché allora avevo più di un cliente con sede romana e, addirittura, in un caso mi fermavo in aeroporto subito dopo l’atterraggio a Fiumicino. Il cliente era proprio la società che gestiva allora tutti i bar e ristoranti sparpagliati nelle varie zone dedicate ai passeggeri e allora ne stavamo rifacendo l’immagine complessiva, dalle insegne ai nomi dei panini fino al menu del ristorante chic, dedicato ai VIP. In quegli anni, ancora operosi per me, per quanto insoddisfatto dei governi moderatamente di sinistra, non avrei mai pensato di dover accettare un Governo così tanto di destra come l’attuale.

La seconda carica dello Stato viene da una famiglia meridionale che vanta un padre “fascistone”, come si usava dire negli anni cinquanta e forse sessanta. Allora non me lo domandavo ma lo faccio adesso per capire se fosse un vocabolo ironico, spregiativo o perfino nostalgico. Passata l’epoca dei settimanali Rizzoli che ci raccontavano le gesta dei Mussolini figli e nipoti, della deputata nipote d’arte e degli Almirante, adesso abbiamo un nostalgico che potrebbe, per accidente, sostituire il Presidente Mattarella al Quirinale. Lunga vita al Presidente cui sono affezionato e che, soprattutto, stimo e ritengo abbia adempiuto ai suoi doveri nel modo migliore. Uso il passato solo perché, fra le continue bizzarrie del presente, il classico settennato potrebbe se non raddoppiare la durata, portarci ad un decennale.

Da molti anni, una persona a me cara e contigua, mi ripete come al peggio non ci sia limite. Un Presidente del Senato che dopo mezzo secolo di vita lombarda continua a mostrare, nella sua pasticciata loquela, tratti dialettali o fonemi siciliani, potrebbe divertirmi se non mi deprimesse, invece. Siamo passati da un autorevole Primo Ministro dal respiro europeo ad una sua collega che pur rappresentando un passo avanti di genere, marca anche lei la sua romanità nella loquela, fra un sorriso benevolo e una corrucciata espressione di pensiero profondo. L’Ignazio, incorreggibile maschio della sua generazione nostalgica, usa spesso toni molto paternalistici quando si rivolge o cita la sua leader. Noi che siamo incorreggibili femministi dobbiamo però constatare la stravaganza di un Governo che è il più a destra dai tempi della caduta del regime dittatoriale, diretto però da una giovane donna.

Se volessi millantare potrei dirvi che col La Russa presentabile ho avuto in passato una qualche contiguità. Una mia collega che era responsabile amministrativa dell’ultima azienda per cui ho lavorato come consulente, siciliana come i La Russa, era estasiata per l’amicizia intercorrente fra il proprio figlio e un rampollo dell’Ignazio. Quella signora che seguii nelle sue vicende familiari e professionali, inclusa quella imprenditoriale del marito, m’insegnò indirettamente come mentalità e comportamenti mafiosi non siano, necessariamente, malavitosi. In sintesi, sono passato da una fase in cui ero preoccupato, all’attuale, in cui sono fortemente sconsolato e, soprattutto, pessimista per il futuro prossimo.

CONTROMATTINALE 310/22

I ragazzi che sono evasi, si fa per dire, dal carcere minorile milanese, il Beccaria, sono stati recuperati in casa dei loro genitori. Possibile non sapessero dove rifugiarsi, probabile immaginare che la fuga non fosse affatto programmata e poi perfino del tutto sgradita da parte di quei familiari con cui i giovani intendevano ritrovarsi. Non sono un esperto di istituti penitenziari ma, del tutto accidentalmente, ne so qualcosa che mi arriva di seconda mano. Da quando vivo a Venezia mi capita di veder passare sotto casa dei bimbetti, spesso di colore, che vengono accompagnati alle Convertite al mattino, per poi percorrere a ritroso quei pochi metri che collegano il carcere femminile con un istituto di monache che ospita bimbetti abbandonati o con situazioni familiari difficili o, addirittura, criminali.

La concomitanza fra la festività natalizia mi spinge a considerare sia la possibilità che i ragazzi soffrissero di nostalgia da casa, sia anche che abbiano approfittato di un momento di possibile minore attenzione e controllo, determinato dal Natale. Se si tratta però di un evento annuale sembra che i lavori di ristrutturazione edile in atto fossero invece annosi e si siano così resi complici della ragazzata dei minorenni. Scrivo minorenni dal momento che il soggetto è, appunto, un carcere minorile. Apprendo però come assieme ai minorenni reclusi ci siano anche dei ragazzi che, condannati da un tribunale minorile, superano abbondantemente i diciotto anni. Un mix generazionale e culturale che può essere davvero esplosivo. Un ventenne può rappresentare per un sedicenne sia un punto di riferimento, sia anche uno stimolo all’imitazione. Non basta, perché se al Liceo un compagno ripetente, ovvero più vecchio di uno o due anni rispetto a noi, era molto influente, quale sarà la subornazione di un teen ager da parte di un ventenne?

Ci dicono come il carcere minorile e quindi anche il Beccaria sia sovraffollato non diversamente da tutti gli istituti carcerari che ospitano, si fa per dire, carcerati maggiorenni. Ci raccontano come le possibili pene alternative alla detenzione possano essere utili sia ad alleggerire il sovraffollamento, sia soprattutto possano abbattere la nota recidiva. Abbiamo disponibili anche le esperienze che in altri Paesi europei sono in atto ormai da decenni e quindi possono permettere dei successivi studi sui tassi di recidiva. Vado a memoria e spero di non sbagliare se vi dico che nei Paesi scandinavi le recidive, impossibili da azzerare, risultano comunque molto ridotte rispetto a quelle presenti da noi.

Il carcere femminile che citavo prima, le Convertite, ospita sia delle poveracce che commettono piccoli reati che, dopo la prima condanna condizionale, alla seconda passano in giudicato, sia più rare assassine che magari hanno ucciso un amante infedele o un capo ufficio troppo esoso. Anche in questo caso abbiamo reati di lieve entità e reati pesanti se non, addirittura, atroci. Seccante ma si spera che delle adulte siano meno vulnerabili e permeabili rispetto a ragazzini difficili. Spesso però chi finisce alle Convertite come in altri Istituti maschili, non è una persona del tutto equilibrata e matura e dunque, anche per i maggiorenni si può ipotizzare come assieme ai rudimenti di lingua italiana, magari anche scritta, apprendano le malizie della criminalità, spicciola o piuttosto, organizzata.

Anni fa frequentavo degli educatori che erano passati dall’insegnamento a ragazzi delle classi Medie a quello dell’italiano di base per stranieri detenuti. Il direttore di allora era una persona moderna e pare che i detenuti del Due Palazzi, dal nome della via padovana in cui è ubicato, non solo potevano apprendere a leggere, scrivere e “far di conto”, come dicevano i nostri genitori ma anche mestieri artigianali, come il pasticcere e il sarto.Bravi, no? Se però chi esce dal carcere, anche se “con un mestiere in mano” e perdonate il mio odierno attingere a frasi fatte e molto datate, andrà incontro a diffidenza, rifiuto o peggio, cosa potrà capitare a quel detenuto che dopo anche pochi anni di reclusione, viene buttato fuori come ci era entrato all’inizio? Non mi stupisce allora apprendere come una percentuale elevatissima di ex detenuti si ritrovi spesso a ricalcare lo schema dentro-fuori-dentro. Forse anche il Beccaria con le sue teorie, andrebbe rivisto e sfatato. Se rimandassimo nei Paesi di provenienza i detenuti stranieri abbatteremmo radicalmente l’affollamento carcerario. Già solo questa scelta aiuterebbe ma poi l’insegnamento di un mestiere, magari assistito poi da cooperative di artigiani ex detenuti, potrebbe rappresentare, non solo sulla carta, una forma sociale ragionevole e meritoria. Utile perfino per me che non so dove riparare un televisore guasto o far adattare un mio vestito che ormai è diventato troppo stretto.

CONTROMATTINALE 309/22

E’ meglio adottare delle scelte nuove che risolvono un problema in atto ma che potrebbero rivelarsi fonti di successivi grattacapo o, piuttosto, continuare su una strada che è certamente nociva non solo adesso e dopo domani ma perfino a ritroso nel tempo? Sto pensando al fotovoltaico che per alcuni buontemponi potrebbe, in futuro, creare dei problemi nello smaltimento dei pannelli che attivano energia elettrica per condomini, comunità e case unifamiliari. Gallarate non è Sorrento e nemmeno Taormina, eppure ho notizia di una villetta in cui due generazioni diverse si avvalgono di energia auto prodotta. Non la figlia ma il padre, lungimirante seguace di teorie messe in pratica da persone che preferiscono guardare avanti invece di lamentarsi del presente, decise per la svolta epocale. La villetta, due piani in cui abitano il padre al pian terreno e la figlia col marito, al piano superiore, sono riscaldati in inverno, dotati di acqua calda tutto l’anno, è virtualmente autonoma anche se credo non manchi la possibilità di avvalersi del sistema tradizionale, in caso di necessità.

La scelta di quella famigliola che potrebbe apparire innovativa oggi, è stata attivata già da parecchi anni e dunque potremmo chiedere a loro un rapporto abbastanza motivato sulla loro esperienza. Io stesso, brevemente ospite in quella villa constatai, sotto il getto della doccia, l’efficienza termica di quei pannelli, per altro invisibili in quanto posti ovviamente sul tetto. Poco fa sentivo dire che i pannelli sottrarrebbero suolo che dovrebbe essere, piuttosto, impegnato in colture. Tenderei proprio ad escludere che ci sia una fattoria pronta a sacrificare pomodori e melanzane ma anche frutteti e pascoli a favore dei pannelli. So anche io che ci sono delle zone in cui gli impianti sono a livello del suolo. Non so dire se si tratti di scelte errate o, piuttosto, di impianti sperimentali che si preferisce tenere più facili da raggiungere e gestire. Credo di sapere, però, che come per il suocero di mio figlio e lui stesso, il tetto della casa non serva per coltivarci grano o ortaggi, anche tutti i nostri condomini abbiano bel altre esigenze e seguano logiche economiche. Un piccolo fazzoletto di terra che è sul retro della casa permette a tre persone di disporre un minimo indispensabile da usare in cucina mentre esistono negozi di frutta e verdura che assolvono adeguatamente il loro impegno commerciale.

L’Italia è una penisola stretta e lunga, come ci facevano dire alle scuole elementari e, anche se tutto cambia, perfino il clima, la struttura dello stivale non muta. Il famigerato e temuto cambiamento climatico, al di la della evidente radicalizzazione dei fenomeni naturali, con New York semi paralizzata dal gelo e la progressiva desertificazione di zone un tempo ritenute fertili, potrebbe incoraggiare l’uso dell’energia solare. Energia eterna e a costo zero, all’origine. Mi sento di giurare che nessun Padre eterno potrebbe, a capriccio come gli Emiri, interrompere l’erogazione dell’energia solare ma, se per assurdo, non lui ma un qualche sconvolgimento cosmico attenuasse o spegnesse il Sole, avremmo bel più definitivi grattacapo da fronteggiare e risolvere. Nel frattempo si studi il modo migliore per il futuro smaltimento dei panelli esauriti, come si fece per quello degli oli bruciati, e la si pianti di parlare di consumo del suolo. Disponiamo di distese immense, quasi infinite, di tetti condominiali. Se in Grecia i tetti sono dotati di serbatoi per l’accumulo d’acqua per equilibrare i momenti di crisi idrica, non vedo perché noi, analogamente, non ci si possa dotare di quei pannelli solari che, almeno per un bel po’ di anni, risolverebbero mille problemi sia familiari che perfino collettivi e forse perfino industriali. Non ci sarò ma scommetto che i pretestuosi problemi sollevati dai petrolieri saranno risolti brillantemente grazie a cervelli e, soprattutto, ad interessi specifici e in contrasto con il petrolio.

CONTROMATTINALE 308/22

Stamattina, anzi oggi, è Natale e pur non essendo affatto coinvolto sul piano mistico-storico-religioso, non posso esimermi dall’augurare ai miei amici lettori, più o meno credenti e cristiani, buona festività. Forse avrei dovuto scriverlo usando le maiuscole ma questo è un Contromattinale, non un biglietto di auguri. Stamattina eccezionalmente non mi sono rasato e solo dopo ho riflettutto su una delle possibili interpretazioni della mia scelta. Se è vero che oggi, più di ogni altro giorno dell’anno, non ho occasione di contatti sociali, più o meno ravvicinati, è anche vero che la nascita del Cristianesimo ha pochissimo da essere festeggiata, almeno da me. Secondo la tradizione ebraica il lutto assume varie forme e una di quelle è la mancata rasatura del volto che va avanti piuttosto a lungo, come segno esteriore di lutto, assieme alla veste stracciata che attualmente credo sia la camicia.

No, non ho proprio nulla da festeggiare se considero come circa venti secoli fa una nascita ha creato grandi cambiamenti nella vita di molte persone, ha gettato le basi di lutti e perfino autentici massacri, fra pasto delle belve al Colosseo e guerre di religione che forse le usavano come coperta ipocrita ma forse anche no. In questa confusione prospettica inserisco allora un tema che è apparentemente piccolo piccolo ma che a pensarci, diventa grande grande se non, addirittura, immenso.

Il Verbo, la parola, inizialmente solo parlata e poi scritta a futura memoria, ci distingue da tutti gli altri esseri viventi e per quanto i nostri simili, i mammiferi usino la voce, non vanno oltre l’espressione di sentimenti che puoi contare su una singola mano. Noi, al contrario, comunichiamo in maniera articolata sia usando vocabolari sempre più sofisticati nel tempo, sia per scritto mentre solo di recente disponiamo di mezzi più moderni che evitano lo scritto, i video messaggi o le piattaforme digitali che mettono in relazione video ed audio, persone separate da oceani. Eppure anche oggi mi tocca leggere o ascoltare citazioni su Gesù e Maria, Giuseppe e altri nomi italiani che rappresentano altrettanti falsi storici. Non ho dubbi come per Francesco che inventò il Presepio fosse difficile usare nomi come Yoshua o meglio, Yeoshua, Miriam e Josef. Gesù, Maria e Giuseppe sono più agevoli e alla portata di tutti. Ignoro come vengano citati dai cristiani di lingua inglese o tedesca, per non dire russa e swahili.

Il Verbo, nel senso della parola che descrive, è talmente importante da spingere coloro che scrissero il Libro per antonomasia, la Torà che ci fu anch’essa scippata con l’uso di un vocabolo greco, la Bibbia, a modificare radicalmente i nomi d’origine. Gesù è un nome che non a caso è intoccabile. Se conoscete sicuramente delle Maria e dei Giuseppe, magari in versione Mary e Joseph, accetto scommesse che nessuno di voi possa citarmi un amico o conoscente che sia registrato all’anagrafe, chessò, Gesù Esposito. Un Salvatore Esposito che era mio amico negli anni novanta firmava le sue creazioni pittoriche come Nazareno Noia, convinto che quel cognome fosse, in qualche modo, di matrice ebraica. Lo lasciai in quella sua consolante idea, forse corretta o solo illusoria mentre, ribadisco, Gesù mi irrita alquanto.

So bene come l’italianizzazione dei nomi ebraici avesse solo l’obiettivo di renderne più facile l’uso, mentre Yeoshua sarebbe difficile anche oggi, pensa tu come lo sarebbe stato in preghiere che supplicavano l’intervento di Maria e santi vari per far cessar una pestilenza o una guerra che durava da decenni. Posso capire ma posso anche interpretarne la ricaduta, più o meno voluta. Se Yeoshua, Miriam &Yosef richiamano un esotico ebraico sgradito, Gesù. Maria e Giuseppe sono familiari, con Maria e Giuseppe che possono essere nomi dei nonni, degli zii e perfino di mamma e papà. Non basta, perché mutando ed italianizzando i nomi si eradica la storia che, ammesso sia autentica, vedeva una famiglia ebraica effettuare la milà del pupo (la circoncisione come è nota nella sua lingua originale, non il greco o il latino ma proprio l’ebraico). Ecco allora, come per incanto, un ebreo che passò la milà e poi divenne tredicenne adulto nel Tempio di Jerushalaim, diventa Gesù, figlio di Maria e di Giuseppe. A questo punto basterebbe farlo nascere a piazza san Pietro e tutto andrebbe a posto dopo che l’iconografia ce lo propone biondo e di bell’aspetto mentre io immagino brevilineo come erano allora e dai capelli e dalla barba corvini o, comunque, scuri. Buona nascita e relativo compleanno di Yoshua.

CONTROMATTINALE 307/22

Un paio di sere fa un buon film a tema malavitoso mi ha stimolato e ci avevo scritto un pezzo che, misteriosamente, mi sono perso. Ci riprovo, anche se so già che sarà radicalmente diverso dal precedente. Il film ci racconta l’intreccio negli Stati Uniti d’America fra mafie d’importazione e attività economiche, più o meno malavitose. Credo che al di la dell’oceano atlantico, come anche del Pacifico, i gruppi egemoni si succedano. Oggi e non da oggi, in USA, tramontata Cosa nostra da tempo, fra malavitosi latino americani ed asiatici la gara è aperta. Il Cinema, sia quello serio ed impegnato, sia quello che mira solo al botteghino ci propone personaggi ed eventi che sono spesso a cavallo fra fiction e cronaca romanzata. Il film in questione ci racconta la saldatura che avvenne fra italiani ed ebrei dell’Europa del’Est con un ebreo che fu a capo di una banda malavitosa importante. Il suo nome originale era Benjamin Hymen Siegelbaum, trasformato come usanza dell’epoca in Bugsy Siegel. Non vi parlerò di lui e delle sue gesta ma mi limito a segnalare come fosse amico del creatore di Las Vegas e come, pare, avesse cercato di proteggerlo dall’inevitabile sentenza capitale, determinata dalla disinvolta gestione di quel mega business.

Paradossalmente, proprio una potente struttura criminale come era Cosa Nostra in USA, non può accettare disinvoltura contabile o, peggio, distrazione di fondi societari a fini personali. Del resto furono proprio i rapporti molto stretti fra Cosa nostra e Sicilia che permisero uno sbarco nell’isola praticamente del tutto indolore. Pochi anni dopo, la stessa organizzazione faceva fuori Salvatore Giuliano che pur essendo un capo banda non era affatto gradito alla Mafia, essendo un cane sciolto, forse al servizio degli scissionisti, di quei matti che non solo volevano la Sicilia staccata dall’Italia ma, addirittura, annessa agli USA.

Non starò a ricordarvi come fosse stato eliminato Giuliano, pare tradito o perfino ucciso da Gaspare Pisciotta, finito poi all’Ucciardone dove divideva la cella col proprio padre e credo con dei loro congiunti. Un caffè mal preparato chiuse la vita del bandito di cui, dicono, si temevano rivelazioni imbarazzanti sul tema sempre verde, quello dei rapporti fra politica e criminalità organizzata. Anche Sindona, passato dal rango di banchiere di Dio a carcerato bevve un caffè di troppo. La mafia italo americana contribuì allo sbarco alleato in Sicilia e dunque alcuni malavitosi di origini italiane ci vennero rimandati in Italia, etichettandoli come “indesiderati”. Sospetto avessero rinunciato a perseguirli penalmente per le loro benemerenze belliche ma che ne volessero bloccare le ulteriori attività illegali. Peccato che i vuoti si riempiano in fretta e dunque agli italiani si sono sostituiti in USA i latinos e gli asiatici.

E gli indesiderabili? Di quelli so poco ma ho memoria quasi diretta di Lucky Luciano. Credo fosse nato come Salvatore Lucania ma poi, come molti degli sbarcati a Staten Island che venivano registrati frettolosamente da funzionari che non conoscevano la nostra lingua, anche Lucania divenne Luciano. Questi, di cui so pochissimo sulla sua attività americana, essendosi reso benemerito per quello sbarco indolore che citavo poco fa, ci era però stato rispedito con calda preghiera di tenercelo stretto stretto. Da noi non aveva sospesi penali e visse tranquillo nella mia Napoli degli anni cinquanta. Morì d’infarto nel sessantadue e ho tuttora in mente la foto della sala d’aspetto dell’aeroporto partenopeo, col cuscino che ne sorreggeva il capo negli ultimi istanti di vita. Pare fosse andato a ricevere un ospite americano che era in arrivo da qualche capitale europea e che lo trovò morto.

Lucky Luciano abitava a Napoli al Parco Comola Ricci, una via privata che collega la zona alta della città con Mergellina. Dicono che la sua casa fosse lussuosissima e che occupasse tutto il piano attico, quasi una villa privata e ben protetta sul tetto di un condominio borghese. Chi lo voleva vedere da vicino bastava scendesse a Santa Lucia dove c’era un bar ristorante dal nome evocativo, il California. Locale gemello lo ricordo a Roma in via Bissolati o forse in piazza Barberini, stesso lay out, stesso nome e stessa grafica. In quello romano ci mangiai un hamburger più di mezzo secolo fa, in quello napoletano ci passai un paio di serate, incaricato dalla Doxa, di cui ero collaboratore, a rilevare modalità di ordinativi e consumo dei super alcolici. Luciano ci passava le giornate e c’era chi giurava fosse il vero proprietario del locale, formalmente intestato ad un prestanome. Non passo da “santa Lucia” da un pezzo e perfino Napoli non mi è più vicina e familiare, dunque non lo so ma credo proprio che il California napoletano come il suo gemello romano siano scomparsi, assorbiti dalla polvere del tempo.

CONTROMATTINALE 306/22

Chi mi conosce sa come mi sia formato a Napoli ma con qualche addendo romano e come la mia vita professionale si sia svolta tutta a Milano, salvo la breve parentesi romana che mi permise di sfornare un figlio capitolino. Il fatto poi che mia sorella avesse stabilito la sua residenza nella Roma più caratteristica e in trasformazione, come era la Trastevere di alcuni decenni fa, mi fa sentire anche legato alla capitale, nel bene come anche nel male. Leggo che da tempo in quella città, difficile da amministrare fin dai tempi del Papa Re, la fauna selvatica vi sta entrando, forse scacciata da spazi molto più idonei alla vita quotidiana, allevamento dei piccoli incluso. Può allora accadere che un residente romano, magari di una zona chic dell’Urbe, a nord del centro storico, possa imbattersi in un cinghiale. Non mi stupisce se considero la teoria di cassonetti dell’immondizia, non solo sporchi e fatiscenti ma largamente inadeguati o non svuotati in tempi normali. Accade allora che chi avesse voglia di farsi un giretto sui marciapiedi già stretti all’origine di una di quelle vie consolari che per altro vedono proprio dei consolati e ambasciate di Paesi esotici, quel giretto lo farà dribblando sacchetti d’immondizia sventrati, da cani selvatici o da cinghiali affamati, ma anche altri materiali solidi che costringono perfino a continui sali scendi alternati fra marciapiede e carreggiata automobilistica. Se questa è la mia fotografia dei quartieri chic mi domando come possa essere la situazione in quelli meno altolocati ma escludo possa essere molto migliore.

Ci dicono adesso che la caccia al cinghiale ma anche ad altra selvaggina, in città, è aperta ufficialmente e chi uccide un cinghiale, dopo verifica sanitaria, può macellarlo per uso personale, magari fra lombate e insaccati da preparare con chissà quale previa esperienza. Lo so, adesso ci sarà chi sorride o ride apertamente per questa notizia che fa seguito a una decisione che mi domando da quale mente eccelsa sia scaturita. Io no, io non sorrido perché mi domando se per caso chi passeggia da pedone sulla Salaria o chi guida un’auto sulla Cassia non debba indossare, per prudenza, un giubbotto anti proiettile, di quelli in uso presso le nostre forze dell’ordine, Polizia e Carabinieri per primi. Tutori dell’ordine, forse, sicuramente viriloni e pazienza se da anni possono avvalersi di colleghe di sesso diverso.

Sembra che, sempre nella nostra Capitale ci sia stata l’ennesima caduta da un piano alto di una Questura o di un Commissariato di Polizia. Non è affatto una novità e fra il caso di via Fatebenefratelli a Milano, noto come in caso dell’anarchico Pinelli e quello di cui vi parlo, molte morti si sono consumate “per cause accidentali o per suicidio”. Da anni vado dicendo che se una persona, anche la peggiore possibile, è in custodia presso un ufficio di Polizia, non si può accettare che possa essere messa nella condizione di auto ledersi e perfino di suicidarsi. In realtà i non pochi pseudo suicidi sono degli indagati che vengono sottoposti a sistemi di interrogatorio brutali che si trasformano in tragedie irreparabili. Pare però che, dalle prime risultanze, si sia aperta un’indagine definita seria che intende fare piena luce su questo episodio. Speriamo si riveli meno bislacca di quelle che in passato spiegavano come un colpo di pistola, indirizzato in alto a mero scopo indimidatorio, fosse stato in grado di uccidere un automobilista che sostava al di la di ben due carreggiate autostradali. Ci dicono che la vittima era una persona pessima e, probabilmente, autore di reati gravi a danno di minorenni. Ovvio che chi incappa nei rigori della giustizia difficilmente possa essere una persona per bene e solo sfortunata. Ci sono reati particolarmente gravi e socialmente inaccettabili ma se ci auguriamo certezza della pena, non possiamo accettare metodi polizieschi che ci rimandano a regimi totalitari che, almeno in Italia, abbiamo archiviato da circa settant’anni. Forse, però, abbiamo ancora poliziotti e carabinieri che non lo sanno o, soprattutto, a cui importa poco.

CONTROMATTINALE 305/22

Abbiamo potuto archiviare da poche ore il campionato mondiale di calcio ma gli echi relativi a scandali vari non solo non si spengono ma, addirittura, si rinfocolano. Paesi dittatoriali e per certi versi oscurantisti, minacciano ritorsioni anti europee a base di petrolio che potrebbe non essere consegnato o, forse, rincarato ulteriormente. Chi ha potere lo fa pesare come può o come meglio crede. Il guaio è che se ci tocca negoziare con Paesi dai regimi dittatoriali che, in alcuni casi, ci arrivano invariati rispetto a come potevano essere due o tre secoli prima. Lo scontro di civiltà che Oriana Fallaci pare avesse previsto ormai molti anni fa, è in atto così come altri fenomeni che sembrano usciti da romanzi di fantascienza o da saggi che criticavano, tacciandoli di sensazionalismo e di pessimismo programmatico. Siamo ormai a circa un quarto del secolo che festeggiammo quando eravamo più giovani ed attivi ma già allora avevamo, a pochi passi da casa, regimi politici impresentabili.

Quando ero ancora uno studente, non solo sui banchi del liceo ma anche più tardi, potevo da un lato percepire palpabile il potere politico e sociale di una classe egemone che dopo circa sessant’anni cambia solo aspetto ma non spirito. Eppure a noi Italiani e agli Europei occidentali va ancora bene. A pochi passi da casa, in Europa, i figli di Stalin e i nipoti degli zar possono vantare forse progressi tecnologici ma certamente non politici. Dirò di più, citando un mio vecchio pallino. Possiamo illuderci di essere democratici in quanto europei e grazie ad istituzioni europee trans nazionali. Può darsi benissimo che fra noi Europei e i nord Americani si abbiano anti corpi adeguati per non permettere a Trump di portare avanti i suoi deliri, al limite del colpo di stato. Però quanti sono gli europei ex sovietici tornati da tempo sotto la protezione di Santa Madre Russia?

Non basta perché dovremmo smetterla di ragionare come se il centro del Mondo fosse ancora l’Europa. Dal millequattrocentonovantadue è passato parecchio tempo e il Nuovo Continente è cresciuto per rilevanza internazionale. Il guaio è che USA e Canada sono solo il Nord America mentre abbiamo un Sud America che non a caso veniva spesso citato in barzellette aventi come argomento il succedersi di regimi autoritari e perfino assassini di massa, come per il Cile di Pinochet. E la Cina col suo miliardo di cittadini che sono più sudditi e schiavi che non elettori liberi di esprimersi? Certo, poi abbiamo l’India che è anch’essa popolosa e gestita formalmente da un sistema democratico ma la differenza fra forma e sostanza ce la insegnarono da ragazzi e anche se abbiamo avuto una Repubblica Sociale Italiana questo non significa che fosse gran che meglio della Monarchia sabauda che era, ancora per poco, attiva a sud di Roma.

Al di la delle etichette che possiamo applicare, chessò, ai governi che negli ultimi cinquant’anni in Africa hanno sostituito il potere coloniale europeo di Gran Bretagna, Francia e Portogallo, dubito che la gran parte dei Paesi di recente nuovo conio siano davvero democratici al di la delle etichette. Anche se abbiamo archiviato da tempo Idi Amin che era perfino sospettato di antropofagia rituale e che era certamente complice del sequestro aereo che ricordiamo come “i fatti di Entebbe”, dubito che in quel popoloso continente ci sia, almeno per ora, spazio per delle democrazie mature e compiute. Se, tirando le somme, ancora oggi, fine Dicembre venti ventidue, abbiamo realisticamente molte più persone gestite in maniera autoritaria e se consideriamo anche i tassi di natalità di quegli stessi Paesi, che ipotesi potremmo avanzare per il secolo in atto? Io non me la sento affatto ma se sotto tortura fossi costretto, non ipotizzerei nulla di buono per i nostri figli e nipoti.