CONTROMATTINALE 66/21

Se vi dicessi che oggi festeggio per la centocinquantottesima volta il mio compleanno, potreste accusarmi, a buona ragione, di follia. L’Anagrafe, assieme a voi, mi smentirebbe subito. Eppure non mi sono bevuto il cervello e, se avete pazienza, adesso vi spiego le mie ragioni. Più o meno a quest’ora, dopo una notte piuttosto movimentata per il parto, mio padre si recava in municipio, ad Atessa, provincia di Chieti, presso l’ufficiale di stato civile, con molta sicurezza dichiarava che “ieri”, ovvero la notte precedente era nato un quasi normale Vittorio, Haim, Gabriele e così fui registrato come nato il venticinque marzo. Mia madre era allora quarantaduenne, età assurda allora per una gravidanza ed era stata assistita da una vecchia ostetrica quasi cieca, ma aveva le idee ben più chiare dei due uomini. Le due di notte del 26 non sono il 25, ovviamente.

Le circostanze della mia nascita erano conseguenza dei momenti terribili che si stavano vivendo. L’attacco vile alla Grecia aveva trasformato tutta la famiglia di Papà, suo padre, il fratello e noi tutti, in nemici del regime pur essendo greci residenti da parecchi decenni in Italia. Ad Atessa non eravamo sfollati, come pensano spesso gli amici cui non racconto la storia per intero, non eravamo confinati, come piaceva dire romanticamente al fratello minore di mio padre. Eravamo internati, ovvero costretti a starcene nel paesello e pazienza se un parto difficile o una malattia grave avrebbero richiesto lo spostamento in città. Ammesso che la Chieti di allora potesse essere considerata città.

Ci sono culture presso le quali i compleanni sono ignorati e, infatti, non solo giorno e mese ma perfino l’anno di nascita di mio padre era in discussione, al di la della forma ufficiale dei documenti e solo pochi anni prima della sua morte, ci confessò di essere più vecchio di un anno. Resterò per sempre nel dubbio che me lo avesse confidato per riuscire a raggiungere non solo de facto ma anche per noi figli, il secolo. Mia madre che superò quel traguardo di ben cinque anni, al contrario, nascondeva la sua età e a noi figli ragazzini dichiarava ben dieci anni di meno. In tarda età si giustificava sostenendo di averlo fatto per noi, per non farci sentire figli di vecchi ma credo che fosse lei, civettina come la definiva la sorella maggiore, a nascondere i documenti anagrafici, implacabili. Sorella maggiore che se ne andò da questa valle di lacrime, anche lei in età veneranda,come quasi tutti i Foà e i Levi di cui ho notizia.

Torniamo dunque al mio centocinquantottesimo compleanno informale per ricordare il piccolo disagio che questo incidente di cui vi dicevo mi ha arrecato per tutta la mia vita. Infatti devo ricordare ogni volta sia necessario, come i documenti mi invecchino di un giorno ma soprattutto l’esigenza di ricordare quel venticinque ufficiale. Da bimbo festeggiavo il ventisei. Ricordo che quando ero alle Elementari, almeno una volta mia madre mi aveva tenuto a casa da scuola e nello svegliarmi. era entrata in camera da letto con un carrello da the, una roba che non esiste più ma che era dotato di rotelle e di due vassoi sovrapposti. Era pieno di regali e pazienza se quelli veri erano uno o due. Attorno ai pacchi regalo mia madre allestiva un trionfo di giocattoli fra cui i miei soldatini, già posseduti ed ereditati da un cugino parecchio più grande ed erano di pregiata fattura e tutti pre bellici. Anche un paio di automobili giocattolo non potevano mancare e ne ricordo ancora una azzurra, grande. Riproduceva in latta un modello americano e in quegli anni le auto di sogno erano rigorosamente Cadillac, Pontiac e Oldsmobile. Niente armi giocattolo, a segnare pacifismo familiare ma anche l’orrore per la guerra recente che anche in famiglia aveva mietuto vittime fra malattie e soprattutto, per i parenti greci, per il mattatoio nazista che azzerò la popolazione ebraica di Iannina. città epiriota più ebraica che ellenica, fino a quel momento.

Quando, pochi anni fa, rivangavamo quegli anni con Laura, la mia sorellina maggiore cui ero stato presentato la mattina del ventisei, settantanove anni fa,ci complimentavamo coi nostri cari scomparsi, il nonno Levi e i nostri genitori che avevano fatto del loro meglio nel tenerci lontani dagli orrori appena passati, come anche dalle difficoltà obiettive del presente. Se poi ci fossero riusciti appieno non lo saprei proprio dire, temo di no.

Riepilogando, non penso di vivere altri settantanove anni ma mi sto organizzando per viverne ancora parecchi, possibilmente lucido mentalmente e passabilmente in forma, fisicamente. Come dice spesso un mio buon amico, “vedremo”.

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