CONTROMATTINALE 314/22

Se a trecentosessantacinque sottraggo trecentoquattordici,ovvero il numero che leggete e che è accanto all’anno “22”, posso sapere in quanti giorni io mi sia assentato, fra qualche controllo clinico antelucano e spostamenti in giro per l’Italia. Da domani 01/23 segnerà l’inizio di un nuovo anno ma la cosa non mi eccita affatto. Ho superato da mille anni l’entusiasmo che provavo da bimbo, nella Napoli degli ultimi anni cinquanta, di fronte allo spettacolo pirotecnico che le famiglie napoletane esibivano, fra innocenti bengala e meno innocenti razzi, per non dire di quelle botte a muro che non a caso chiamavamo invece bombe a muro. L’allora ventottenne avvocato Mario Iasonna che frequentava casa mia con evidente interesse verso mia sorella appena quattordicenne, mancava della mano destra che pare avesse perso proprio a causa di una botta a muro che nel suo caso, era stata una botta a mano.

Non è che io voglia deprimervi, piuttosto vorrei sottolineare come il cambio di anno non cambi nulla o quasi nelle vite di ognuno di noi. Non penso, infatti, di avviare bilanci che non sarei nemmeno in grado di buttare giù. Preferisco piuttosto proporre alla vostra attenzione qualche minuto episodio che è fresco di giornata. Poco fa sentivo citare, in rassegna stampa, Eugenio Scalfari come fondatore del quotidiano La Repubblica e va bene ma anche del settimanale L’Espresso e qui i conti non mi tornano affatto. Ricordate questa settimanale testata nella sua iniziale veste grafica? Formato lenzuolo, come erano allora anche tutti i quotidiani, assenza del colore che era forse troppo costoso e forse futile, era diretto da Arrigo Benedetti, coadiuvato da un Sandro De Feo che non si limitava a gestire la pagina degli spettacoli, fra teatro e cinema ma credo fosse il numero due della redazione. E Scalfari? Certo, era parte della redazione ma non ad alto livello di responsabilità diretta.

Ammetto di non nutrire grande simpatia per Scalfari di cui ricordo benino l’aspetto fisico, la metamorfosi da capello scuro e viso glabro a folto capello canuto e barba bianca impeccabilmente gestita. Anche i toni di voce, quando lo si poteva vedere intervistato in televisione, erano flautati ma anche molto assertivi e non so dire se fosse più un grande vecchio autentico o un grande rivenditore di se stesso, versione grande vecchio. Mi secca però che si possa mitizzare il giornalista, inventando un suo ruolo nell’Espresso vecchia maniera. Lo definisco così perché nel corso degli anni è mutato sotto i miei occhi che da anni hanno deciso di non leggerlo più e perfino di non guardarlo. Una testata giornalistica non è un tot di pagine di carta che propongono un certo numero di pagine originali e molte altre, maggioritarie ormai, di pubblicità coerente col parco lettori fedeli. Può essere uno strumento di formazione forse, sicuramente di informazione. Eppure ci può proporre Eugenio Scalfari come fondatore della testata L’Espresso, senza rossori di vergogna ma contribuendo in tal modo alla costante disinformazione in atto.

L’Espresso che ricordo, lettore precoce di circa settant’anni fa, al di la della veste grafica citata, era benemerito per l sue campagne contro il sacco di Roma, ovvero quella massa di cemento senza regole che arricchì alcuni palazzinari non solo democristiani ma anche uno che risultava contigui rispetto al Partito Comunista di allora. Poi nel tempo si è annacquato fino a scomparire, per me, all’orizzonte. Il soggetto della mia frase è il settimanale ma anche il partito mi sembra annacquato e in crollo di consenso elettorale. Eppure, se facciamo i conti correttamente possiamo valutare come i totali, fra destra e sinistra italiane non mutino significativamente. Al crollo del Partito x corrisponde una crescita del Partito y e pazienza se mi rifiuto di accettare i 5 Stelle come Partito di sinistra. Se questo passa oggi il convento non solo dobbiamo accettarlo ma forse anche ragionarci su. Credo, temo che ci toccherà farlo nel corso del venti ventitre e scusatemi se non ne ho una gran voglia,

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