CONTROMATTINALE 282/22

Judy Garland era un’attrice della Hollywood degli anni d’oro del divismo eppure avrei fatto fatica a collocarla in assenza del film intitolato Judy che mi ha coinvolto solo marginalmente, pur avendomi riportato indietro, alla mia infanzia. Come molti film girati negli anni trenta inoltrati, il più noto era Via col vento, Il mago di Oz arrivò da noi con forse dieci o quindici anni di ritardo. Lo ricordo da spettatore bambino e confesso di ricordarlo poco anche se all’epoca non solo lo avevo visto ma credo che ne avessi perfino un libro o un album tratto da quello spettacolo. Allora dovevo essere particolarmente ritardato perché, seppure potessi comprendere l’espediente del trauma che mette assieme realtà e finzione, pur tuttavia mi sfuggirono allora mentre perfino l’abbinamento fra la strega e la maestra mi coglieva impreparato. Io alla mia volevo bene e solo alle Medie ho iniziato a vivere in antagonismo diretto alcuni miei professori.

Poco fa osservavo la filmografia dell’attrice che è corposa al pari di quella di altri personaggi della Mecca del cinema, come era stata ribattezzata la Hollywood di quegli anni di parossismo divistico. Il film di ieri sera, di recente produzione, ci propone la diva alla fine della carriera, non più in California ma a Londra dove si esibisce in una nuova veste artistica, quella di cantante. L’attrice che ne interpreta il ruolo è estremamente credibile sia quando è in fase positiva sia quando, spessissimo, è alterata per alcol, droga e perfino farmaci che erano verosimilmente droghe legali. Non ne ricordavo affatto i numerosi matrimoni, ennesima costante di quegli anni puritani della cultura nord americana e quindi non sapevo nulla di un suo matrimonio con Micky Rooney. Un nome che dirà poco o nulla ai più giovani e che io stesso collego ad interpretazioni giovani che poi nel tempo, ci mostravano l’eterno fanciullo inevitabilmente invecchiato, rughe incluse.

Un’ultima storia d’amore fra lei matura e un molto più giovane di lei amante traffichino, suo improvvisato manager inetto. mi ha poi fatto affiorare alla memoria altre faccende di quegli anni, in quegli stessi ambienti. Chi di voi ricorda Robert Mitchum? Mentre James Steward rischiava la pelle nella sua veste di ufficiale dell’aeronautica, il suo collega Mitchum organizzava festicciole col barbecue in cui fra hot dogs di suino offriva alle giovani convitate anche il suo pene di porco, pare perfino spennellato di salsa di senape. Erano gli anni in cui un’orrida vecchia giornalista, Elsa Maxwell grazie al suo gossip, poteva lanciare una nuova star o anche distruggere una in fase cadente, forse decadente.

Poteva allora accadere che una pistola che sul set era prevista caricata a salve, per un errore, contenesse invece colpi autentici che ammazzavano davvero qualcuno sul set e quindi sul serio. Poteva accadere anche che una diva, Lana Turner, pare con marcate tendenze masochiste, avesse una figlia in età puberale ed un amante italo americano, bello ed aitante ma in odore di criminalità organizzata si trovasse con la figlia quattordicenne che le uccide l’amante che l’aveva sedotta. Considerato il contesto, credo che la ragazzina spulzellata se la fosse cavata al meglio. Poco più di una ramanzina e se ne tornò a casa da mammà che non solo si era liberata definitivamente di un compagno molto scomodo ma, addirittura, pare avesse fatto tutto lei, salvo passare all’ala la responsabilità sulla figlia minorenne. Una brava mamma, dunque? Nossignore perché pare che l’omicidio fosse maturato per altre ragioni mentre la doppia relazione non solo era nota ma era stata addirittura propiziata dall’attrice che non solo manteneva il gangster ma applicava con lui la classica offerta speciale: due al prezzo di uno.

Brutto e sgradevole il mio odierno pezzo ma erano anni brutti in assoluto e, malgrado la mia età, malgrado fossero quelli della mia formazione, non li rimpiango affatto e, anzi, mi sembra che qualche passo avanti in meglio lo abbiamo perfino conquistato.

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